La modernità di Monteverdi

La modernità, scusate l’osservazione banale, è un concetto che trascende il tempo  e la contemporaneità. Ci sono musicisti viventi che ci appaiono irrimediabilmente “vecchi” e, al contrario ci sono compositori che da un lontano passato ci parlano del futuro e ci appaiono straordinariamente attuali.

Prendete Claudio Monteverdi, protagonista del bellissimo concerto offerto ieri sera al Carlo Felice nell’ambito della Giovine Orchestra Genovese dall’ensemble La Risonanza diretta da Fabio Bonizzoni.

Nel 1607 nel pubblicare gli Scherzi musicali scriveva, per mano del fratello, che la musica è al servizio della parola e che, in barba ai parrucconi del tempo (in primis il teorico Artusi che aveva criticato alcuni suoi madrigali irrispettosi delle regole della buona armonia) ogni compositore era “libero” di inventarsi il discorso musicale adatto a rendere il significato di un testo poetico. Più o meno 150 anni dopo (1767) nella prefazione all’Alceste Gluck ribadiva il concerto: non c’è regola d’ordine che non si possa sacrificare in grazia dell’effetto. Monteverdi e Gluck, insomma, proclamavano a gran voce la libertà di un artista di fronte alla propria opera d’arte. E ad ascoltare i madrigali tratti dal Libro VIII di Monteverdi (Madrigali Guerrieri et Amorosi) si capisce lo stupore di Artusi di fronte a un autentico rivoluzionario cacofonico!

Gli applausi finali (foto Silvia Aresca)

 

Bonizzoni ha scelto un programma splendido alternando alcune opere monteverdiane a due Sonate strumentali di Legrenzi. Pagine come il meraviglioso Lamento della Ninfa e Hor che’l ciel e la terra evidenziano appieno lo stile monteverdiano: il ricco intreccio polifonico alternato a momenti omoritmici, la cantabilità delle voci, il contrasto armonico con dissonanze che rendono appieno la passionalità dei passaggi poetici, la ricchezza del supporto strumentale che nell’Ottavo libro, appunto, si trasforma da mero sostegno a partecipe emotivo (il cosiddetto “stile concitato” annunciato nella prefazione all’opera).

In questo senso il Combattimento di Tancredi e Clorinda che ha occupato la seconda parte del concerto è un capolavoro assoluto, a mio parere, il lavoro più alto concepito nel primo Seicento. Qui la tragica parola di Tasso trova una corrispondenza inedita nelle note di Monteverdi. Ogni parola, ogni verso, ogni moto d’animo che il poeta suggerisce, viene amplificato nella partitura musicale: si pensi al trotto che diventa galoppo in apertura, all’incredibile inseguirsi di parole (uno scioglilingua) a rendere la battaglia, alla stanchezza dei due contendenti che Monteverdi rende con madrigalismi perfetti (le lunghe note sul “peso” o la pausa prima della parola “respiro”). E ancora il magnifico finale quando gli archi si fanno quasi “aureola” intorno alle parole “cristiane” dell’infedele Clorinda che chiede di essere battezzata. E’ un mutamento continuo di passioni che la musica traduce in un’opera di una modernità assoluta.

Bonizzoni, direzione e cembalo,  ha restituito questa pagina e tutte le altre della prima parte nel modo migliore ben seguito dallo strumentale (Olivia Certurioni, viola da brazzo soprano, Ulrike Slowik, viola da brazzo alto, Ayako Matsunaga, viola da brazzo tenore, Caterina D’Agnello, viola da brazzo bassa, Guisella Massa, contrabbasso da gamba, Marta Graziolini, arpa) e dal gruppo vocale (Cinzia Prampolini, canto, Ilaria Molinari, quinto, Sonia Nava, alto, Beniamino Borciani, Mirko Guadagnini e Leonardo Moreno, tenori, Alessandro Ravasio, basso).

Applausi calorosissimi e meritati.