Grande successo per La traviata al Carlo Felice

6 marzo 1853. Va in scena per la prima volta alla Fenice di Venezia la nuova opera di Verdi, La traviata. L’accoglienza del pubblico non è benevola, ma dall’anno successivo l’opera riscuoterà il meritato successo grazie al suo grande fascino e bellezza musicale. Fascino che ancora oggi, dopo 172 anni, continua a destare annoverandosi tra i titoli maggiormente rappresentati e amati al mondo.

Non poteva dunque che registrare il tutto esaurito la prima di ieri sera al teatro Carlo Felice di Genova che ha visto una platea affollatissima.

Composta all’inizio del 1853, La traviata fa parte insieme a Rigoletto e al Trovatore della cosiddetta “trilogia popolare” di Verdi in cui le tematiche affrontate sono più realiste e volte a trasmettere le meraviglie e le storture di personaggi e situazioni verosimili e attuali.

In particolare, Verdi decide di ambientare quest’opera nella contemporaneità borghese – una scelta rivoluzionaria in quanto ne mette in luce l’ipocrisia e i difetti. Violetta Valery, infatti, la protagonista, è una cortigiana di Parigi che deve fare i conti con il suo sentimento d’amore puro nei confronti del giovane Alfredo Germont e la società che la circonda. Ma ciò non basta ad aggiungersi al dramma vi è la morte, destino ineluttabile che la protagonista dovrà affrontare. Verdi si ispira per quest’opera a La Dame aux camélias di Dumas figlio del 1848, a sua volta ispirato dalla storia di Marie Duplessis, celebre cortigiana parigina che morì tragicamente a soli 23 anni di tubercolosi nel 1847.

Una scena dell’opera (foto Orselli)

Dunque, “amore e morte” sono i temi principali della drammaturgia di Traviata, annunciati musicalmente fin dal preludio del primo atto dell’opera. Ed è per questo che il regista Giorgio Gallione e lo scenografo Guido Fiorato – che ne avevano curato l’allestimento già nel 2016 e poi nel 2018 – hanno deciso di rappresentare durante il preludio orchestrale la morte della protagonista sulla scena. Una scena spoglia con un pavimento inclinato in cui a dominare vi è un grande albero ornato con cristalli che rappresenta la vita lussuosa di Violetta: così nell’ultima scena lo si ritrova sradicato e accasciato per terra. Visivamente vi è una forte contrapposizione tra i colori del bianco e del nero – la vita, l’amore e la purezza da un lato e la morte, la corruzione e l’ipocrisia dall’altro, con un’unica eccezione del colore rosso a rappresentare la passione, la gelosia e il sangue, segno della malattia mortale della protagonista.

Un momento della danza (foto Orselli)

L’opera si svolge dunque come un flashback in cui è perenne la presenza della morte: infatti, gli invitati alle due feste sono tutti vestiti a funerale. Ad arricchire le scene sono state aggiunte le coreografie dell’Ensemble Deos con ballerine vestite da cabaret durante le feste e da spose sporche di sangue e scheletri danzanti durante l’ultimo atto. Un’idea registica sicuramente originale, seppur non condivisibile e con qualche eccesso di troppo come l’accanimento di Alfredo nel gettare le banconote addosso alla povera Violetta e gli interventi coreutici appunto che in alcuni momenti risultavano superflui e distraenti.

A dirigere l’orchestra Renato Palumbo, che ha sposato appieno l’impianto registico e ha dato una lettura intensa e drammatica dell’opera con un ottimo equilibrio tra buca e palcoscenico e momenti di grande espressività. Merito anche dell’eccellente cast “cappeggiato” da una straordinaria Carolina Lopez Moreno – al suo debutto a Genova – che ha vestito egregiamente i panni di Violetta, facendo emozionare il pubblico; Roberto Frontali nel ruolo di Germont padre che ha evidenziato grande duttilità e intensità emotiva e Francesco Meli nelle vesti di Alfredo, che ha dimostrato grande tecnica e passionalità.

Calorosissimi gli applausi finali del pubblico!