Calorosi applausi ieri sera al Teatro Carlo Felice di Genova per la prima di “Andrea Chénier”, dramma storico in quattro quadri di Umberto Giordano su libretto di Luigi Illica.
L’opera verista, rappresentata per la prima volta il 28 marzo 1896 alla Scala di Milano, è considerata insieme a “Fedora” (1898) il più grande successo del compositore e si ispira alla vita del poeta francese André Chénier (1762-1794), condannato per i propri ideali costituzionalisti dal tribunale rivoluzionario e giustiziato in pieno Regime del Terrore.
La regia di Pier Francesco Maestrini, le scene di Nicolás Boni e costumi di Stefania Scaraggi conducono il pubblico nella Francia giacobina del tempo con soluzioni coerenti ed accattivanti.
Attraverso un’ambientazione bucolica il primo quadro si apre con una cornice dorata che inquadra la scena al palazzo dei conti di Coigny nel 1789. La rivoluzione è alle porte, ma la Contessa (Siranush Khachatryan), ignara dell’imminente sciagura, è in procinto di dare una festa per i suoi amici nobili. Ed ecco arrivare in scena i tre personaggi principali: Carlo Gérard giovane servitore (Amartuvshin Enkhbat) segretamente innamorato della contessina Maddalena (Maria Josè Siri) dall’animo buono e dal cuore innocente e Andrea Chénier (Fabio Sartori), giovane poeta appassionato e critico nei confronti della superficialità della società circostante.
Ciascuno di loro è un emblema dei contrasti sociali e politici della Francia del tempo: Gérard incarna la condizione servile e oppressa del popolo, Maddalena l’aristocrazia sorda dell’Ancien Régime e Chénier l’intellettuale i cui ideali sono considerati pericolosi dal Regime del Terrore.
In men che non si dica la “serenità” viene spazzata via dall’attacco dei rivoluzionari che uccidono la contessa di Coigny e un fuoco sullo sfondo divampa e brucia tutto chiudendo la scena.
Nel secondo quadro l’ambientazione si sposta nella Parigi del 1794 messa a ferro e fuoco dove i rivoluzionari hanno rovesciato la nobiltà e si è instaurato il Regime del Terrore di Robespierre. La condizione dei personaggi si ribalta: Maddalena si ritrova in povertà, costretta a vivere in clandestinità per non essere uccisa e viene aiutata dalla serva Bersi (Cristina Melis) che si prosituisce per guadagnarsi da vivere per lei e per la sua padrona, Gérard invece è diventato luogotenente di Robespierre e considerato un “eroe” della Rivoluzione, mentre Andrea Cheniér viene tacciato di essere un controrivoluzionario e traditore della patria, quindi anch’egli ricercato.
Parallelamente ai conflitti politici si sviluppa l’intreccio amoroso tra i tre personaggi: tra Maddalena e Andrea nasce un amore puro e profondo dopo che questi scopre essere lei l’autrice di lettere dolci a lui indirizzate, Gérard invece è sempre più tormentato dalla passione per la contessina e per questo si sfiderà a duello col poeta rimanendo gravemente ferito.
Il terzo quadro si apre nell’aula del tribunale rivoluzionario. Gérard è spinto a consegnare Chénier perché venga processato e giustiziato, ma in lui iniziano a insinuarsi i dubbi. Lentamente egli si rende conto di essere passato da servo della nobiltà a servo del Regime del Terrore che però non incarna i suoi ideali di libertà. L’ossessione carnale per Maddalena lo porterà a condannare Chénier, ma di fronte a lei si pentirà e rinuncerà a possederla in nome dell’amore e della purezza della giovane. Nonostante ciò le accuse nei confronti di Chénier vengono rinnovate da Robespierre e per il poeta non vi è speranza.
Nell’ultimo quadro, infine, Chénier e Maddalena sono in prigione e si apprestano a morire insieme, dopo che lei ha convinto una guardia a farsi sostituire con una dei prigionieri. L’amore puro e profondo dei due giovani amanti non si piegherà di fronte alla morte e l’affronterà in preda all’estasi.
“Andrea Chenier” è considerata uno dei capolavori del repertorio verista. Giordano ha saputo adattare il proprio linguaggio alla miglior espressione possibile del soggetto con una scrittura diretta ed efficace, alternando lirismo e tragicità nei brani più celebri come «Un dì all’azzurro spazio» e «La mamma morta» a solennità e impeto nei momenti più passionali e corali, espressione di una collettività sconvolta.
L’orchestra diretta da Donato Renzetti ha saputo rendere in modo efficace i contrasti sonori della partitura con momenti di grande intensità e con un buon equilibrio tra buca e palcoscenico e il cast ha dato prova di solidità tecnica ed espressiva. Una particolare menzione va ad Amartuvshin Enkhbat nel difficile ruolo di Carlo Gérard che ha saputo costruire il personaggio, complesso e contraddittorio, con grande maestria e passione.
Recite fino a sabato 15 febbraio.