Cambio di programma per il 16° concerto della stagione GOG: in sostituzione dell’Es Trio si è presentato, ieri sera al teatro Carlo Felice, il duo violino e pianoforte formato dalla giovanissima – e plurititolata – violinista Mariam Abouzahra e dalla madre Nora Emödy, dal curriculum altrettanto nutrito. Il pubblico della GOG, abbastanza numeroso, ha così potuto ascoltare e confrontare tra loro, a distanza di una settimana, due differenti aspetti della letteratura violinistica: il linguaggio compostamente classico adottato, sia pure con differenti declinazioni, da Beethoven, da Schumann e da un Richard Strauss all’epoca ventiquattrenne, cui ha fatto riscontro il panorama più esteso e variegato costituito da opere “spalmate” su un arco temporale molto più ampio. L’impaginato del concerto, concepito con intelligenza critica, vive su allusioni e rimandi: il pastiche che Ysaÿe elabora sulla Sonata di Locatelli, l’incrocio Rossini-Paganini con le variazioni sul Tancredi, e infine le incursioni di due grandi virtuosi dello strumento che, alla loro maniera, rendono omaggio allo stesso Paganini e a Georges Bizet. In mezzo a questo sfoggio di virtuosità emerge, intatta e senza termini di paragone, la Sonata di Debussy che tanta fatica costò all’autore ormai prossimo alla fine. Ed è proprio questo esito supremo della creatività di “Claude de France” che ha messo in risalto le doti peculiari delle due artiste, al di là del florilegio di bravura dispensato in buona parte del programma. Esattezza negli attacchi, intesa millimetrica nel controllo di agogiche e dinamiche, concertazione acuta e infallibile: la terza (e purtroppo ultima) di quelle che avrebbero dovuto essere le “sei sonate per strumenti diversi” ha brillato di luce propria lungo tutti e tre i movimenti, dall’attacco magicamente incorporeo del pianoforte fino alla turbinosa coda del finale, dove non si percepisce il tormento creativo che assalì l’autore prima che la Sonata fosse conclusa (si racconta che Debussy, sollecitato dall’editore, gli avesse inviato una dopo l’altra cinque diverse versioni del finale prima di approdare a quella definitiva).

Non potendo raccontare in questa sede l’intero recital, è bene soffermarsi su pochi e qualificanti momenti, sapendo in partenza di fare un torto all’elevato peso specifico della resa esecutiva globale. Diremo del brano di Ysaÿe, quinta delle sei Sonate per violino solo, restituita con una luminosità letteralmente aurorale, e ancora della coerenza interpretativa con cui è stata presentata la Sonata di Locatelli (praticamente riscritta dallo stesso Ysaÿe), un “ibrido” sulla carta poco immaginabile, che è risultato più accessibile grazie a un’interpretazione coerente e priva di retorica. Entrando in ambito paganiniano, al di là degli sfavillanti giochi di prestigio dei Palpiti, è apparso miracoloso per equilibrio sonoro e poesia il sesto capriccio, grazie ad una esemplare gestione del peso dell’arco. Infine Nathan Milstein e Jenő Hubay che, nel segno della variazione, hanno chiuso la serata: il primo con l’ennesima rilettura dell’ultimo capriccio paganiniano, il secondo con un autentico divertissement costruito su temi della Carmen, tra cui la notissima Habanera, l’aria Toreador (formidabile qui il detaché di Abouzahra) e la cosiddetta Danza Bohème nella quale l’arsenale tecnico del violino è stato dispiegato senza economia.
Con qualche minima riserva, legata più che altro all’ardore giovanile della sedicenne violinista, non si va lontani dal vero affermando che le si prospetta un futuro luminoso. In quanto a Nóra Emődy, inappuntabile sostegno nei brani di puro virtuosismo, va rimarcata l’eleganza più che propositiva in fase di costruzione, soprattutto nel brano d’apertura dove non era facile inventare una sonorità pianistica che, al di là di un semplice supporto armonico, desse maggiore coesione a un collage stilistico non sempre verosimile.
Applausi un po’ esangui (a personale giudizio di chi scrive) in rapporto ai meriti delle due artiste, che hanno concesso come bis due ninnoli del grande Fritz Kreisler: Rosmarin e il sempreverde Liebesleid.