Ormai, da molti anni, è uno degli appuntamenti irrinunciabili per molti genovesi. Il concerto al Carlo Felice del Coro Monte Cauriol segna tradizionalmente l’avvio del periodo natalizio e richiama nella “piazza” del principale teatro cittadino una folla di appassionati. Ieri sera c’erano più di 1.200 spettatori e in nona fila, schierate, le massime autorità politiche e religiose della città. Tutti per il Coro, certo, ma anche per la Fondazione Gigi Ghirotti che da quarant’anni è in prima linea a sostenere e accompagnare i malati nel loro percorso finale, con competenza e profonda umanità. Alla Ghirotti era destinato l’incasso della serata e nel suo intervento di saluto il prof. Henriquet ha voluto ringraziare le istituzioni e soprattutto i genovesi che da sempre sostengono l’azione della sua creatura: il 70% del loro budget, ha spiegato, proviene da donazioni, il 30% da finanziamenti degli Enti locali.
All’appuntamento con il Carlo Felice, il Coro Monte Cauriol è arrivato tirato a lucido: alcuni coristi giovani a sottolineare un cambio generazionale che garantisce da anni la sopravvivenza della compagine e nuovi canti che si sono aggiunti a pagine tradizionalmente eseguite e particolarmente attese dal pubblico. Il tutto con gli arrangiamenti sempre efficaci e accurati dello stesso Cauriol o di Agostino Dodero, un ottimo compositore e pianista genovese, recentemente scomparso.
Alla guida del Coro, Massimo Corso, dunque, ha stilato un programma vario con alcuni punti di forza: citiamo l’iniziale La montanara, uno dei canti di montagna in assoluto più popolari, ma anche Ta-pum e Il silenzio, quest’ultimo restituito con indubbia eleganza e architettura sonora. Accanto a questi lavori altri meno noti come Pellegrin che vien da Roma, Non potho reposare, Se tu m’ami pin en. L’abilità del Coro emerge in ogni lavoro per la perfetta coesione tra le parti, la capacità delle singole sezioni di passare fluidamente dal tema principale al supporto “strumentale” o per la chiarezza dell’intreccio polifonico.
Fra palcoscenico e platea, poi, si crea una sorta di reciproca esaltazione, per cui il concerto, di durata “normale” si trasforma in una maratona con l’aggiunta di vari bis fra i quali l’immancabile “Ma se ghe penso” nella quale alle voci del coro si sono unite, come da tradizione, quelle degli spettatori.