Teatro a una resa dei conti. “To rave”, tappa del progetto “L’età del fuoco” che il teatro Nazionale di Genova dedica agli adolescenti , va oltre l’azzardo che si coglie in prima battuta (mettersi in gioco con gli spettatori più difficili).
In realtà lo spettacolo di Elena Dragonetti , che ha debuttato in prima nazionale alla sala mercato del Modena dove resterà fino a venerdì , e che mette in scena un gruppo di ragazzi pronti a partecipare a un raduno di “musica libera”, porta sotto i riflettori, anzi sotto le luci stroboscopiche e le martellate implacabili della techno , una domanda che da secoli solleva reazioni contrastanti: uno spettacolo dove la violenza o, in un caso come questo, l’ossessività spinta al parossismo, quanto e come, può sublimare tutto in una catarsi?
I diciotto giovani in scena , professionisti e studenti orchestrati con perfetto amalgama, hanno pochissime parole a disposizione per raccontare la loro verità. E, pur dicendo che questa scarsità può lasciarci qualche rimpianto, e in qualche passaggio perfino una sensazione di incompiutezza o di attesa inesaudita, bisogna ammettere che la loro fisicità potente e ipnotica sa dire molto sulla prigionia sociale alienante che tormenta questa generazione, sulla ricerca confusa di una felicità irraggiungibile, sulla mancanza di progettualità , sulla speranza di estrarre identità definite dal gregge, di saper distinguere tra l’irreversibilità degli eventi nel mondo i carne e ossa e le repliche di quello artificiale. .
Sullo sfondo di questi suggerimenti , nella scenografia di Anna Varaldo campeggia un muro disegnato a mattoncini sul quale i volti proiettati diventano icone di un io diviso e mosaico suburbano. Da un lato si apre una sorta di camerino con tanto specchi, sull’altro trova il suo ultimo parcheggio un’auto sfasciata che lascia uscire fiotti di fumo da un motore già fiamme , forse dopo una corsa notturna sconsiderata.
E’ evidente come tutto sia fortemente simbolico. Lo sono anche i movimenti coreografici di Serena Loprevite, con diverse sfumature di ritualità tribale. Proprio in questo simbolismo che gli interpreti assecondano anche con il volto, con gli sguardi, si trova anche il modo di uscire dall’invasamento puro nel quale potrebbero cadere. Pur senza parole, comunicano a chi li guarda che, oltre l’apparente imitazione dei un rave party , c’è una riflessione. Sembrano rassicuraci : il teatro anche quando quando si immerge nella musica e nella danza contemporanea offre sempre qualcosa di diverso dalla pura riproduzione e quando produce ipnosi , lascia sempre uno spazio, più o meno grande a una presa di distanza critica.