A Levanto si racconta Gesualdo principe, compositore, uxoricida

Era il 1590, quando il trentenne principe Gesualdo di Venosa, imparentato con Carlo Borromeo, seguito da tre fidati servitori, entrò di notte nella stanza della moglie, la cugina  Maria d’Avalos, la sorprese con l’amante il conte Fabrizio Caraffa e la pugnalò a morte. La soffiata arrivò probabilmente al principe da uno zio impiccione che aveva a sua volta fatto qualche avance alla giovane Maria e respinto aveva giurato di vendicarsi. L’assassinio fu classificato come delitto d’onore e nessuno pensò di punirlo.

Gesualdo, musicista geniale, uno dei maggiori madrigalisti del Rinascimento, artefice di un linguaggio musicale incredibilmente moderno e rivoluzionario (al punto da suscitare l’ammirazione di artisti del Novecento fra i quali spicca Igor Stravinskij) sposò successivamente Leonora d’Este imparentandosi così con una delle famiglie più potenti nell’Italia del tempo. Le cronache raccontano tuttavia della infelicità della seconda moglie spesso maltrattata e umiliata dal focoso marito che, naturalmente, non aveva scelto.

La figura controversa e affascinante di Gesualdo è protagonista di un lavoro fra teatro e musica, Dolorose armonie – Carlo Gesualdo Principe Madrigalista che debutterà il 2 settembre prossimo a Levanto (Auditorium Ospitalia) nell’ambito del Festival Amfiteatroff. Testo e regia portano la firma di Fausto Cosentino, un lungo passato come responsabile dell’ufficio regia del Carlo Felice. In scena agiranno gli attori Vittorio Ristagno e Sarah Pesca, mentre la parte musicale sarà affidata a un gruppo di cantanti del Conservatorio “Niccolò Paganini” preparati e diretti da Roberta Paraninfo.

Roberta Paraninfo in prova con i cantanti

 

“Il testo – spiega Cosentino – è un mezzo monologo affidato a un immaginario Gesualdo ormai prossimo alla fine che vive con dolore l’uxoricidio commesso. In realtà Gesualdo amava la moglie, una cugina che conosceva sin da piccolo e l’avrebbe perdonata se non ci fosse stata la società che imponeva la punizione estrema. C’è dunque una violenza forte e mi piace sottolineare che Gesualdo è quasi coetaneo di Shakespeare il cui teatro si basa proprio su fosche vicende di potere e di sangue”.

La vicenda  da cronaca nera che segnò la vita di Gesualdo ebbe ripercussioni evidenti anche nel suo stile musicale. Appassionato, focoso, violento, Gesualdo puntò nei suoi madrigali su poesie ricche di brusche opposizioni interne (fuoco-gelo, caldo-freddo, vita-morte) che gli ispiravano un discorso drammatico, con andamenti spesso sillabici, improvvise fermate, una sorta quasi di declamato, lontanissimo dal lirismo elegante del suo collega Luca Marenzio. Un atteggiamento “espressionista” ante litteram in una fase cruciale per il linguaggio musicale che ai primi del Seicento, al sorgere del barocco, stava faticosamente uscendo dalla logica delle antiche modalità per puntare su una nuova organizzazione sonora, il futuro ordinamento tonale.

“Alla fine del monologo – dice ancora Cosentino – Gesualdo arriva alla conclusione che il delitto gli ha consentito di fare Arte. Le parole servono naturalmente a introdurre anche le musiche che verranno eseguite: sette brani scelti non solo fra i madrigali più celebri e straordinari usciti dalla penna del nobile partenopeo, ma anche nella sua produzione sacra”.

Vale la pena, infine, ricordare un elemento che lega Gesualdo a Genova. Nel 1613, alla sua morte, i sei libri di madrigali da lui lasciati furono riuniti e pubblicati insieme in partitura (fino ad allora la musica polifonica veniva stampata in genere in fascicoli separati, per ognuna delle parti) proprio qui a Genova ad opera del compositore e liutista Simone Molinaro, il più autorevole esponente della nostra scuola musicale tra Cinquecento e Seicento.