Secondo dei tre concerti che la Giovine Orchestra Genovese dedica quest’anno ai Trii di Beethoven
Dopo il successo dello scorso ottobre, il Trio Wanderer (Vincent Coq, pianoforte, Jean Marc Philips Varjabédian, violino e Raphael Pidoux, violoncello) è tornato ieri sera al Carlo Felice per altre tre partiture cronologicamente collocate in altrettante fasi artistiche del compositore tedesco. Si andava infatti dal Trio op. 1 n.2 risalente agli anni 1793-1795 al Trio op. 70 n.2 del 1808 passando per il Trio op. 11 in realtà scritto per clarinetto, violoncello e pianoforte con la possibilità, tuttavia, di sostituire allo strumento a fiato il violino.
Il Trio con pianoforte ha insomma accompagnato quasi tutta la vita creativa di Beethoven se si considera che il capolavoro (l’ op. 97 “Arciduca”: lo sentiremo nel terzo appuntamento del 13 maggio) risale al 1815 ed è seguito dalle Variazioni per trio op. 121a revisionate intorno al 1824.
Se dunque non ha avuto l’importanza che si riconosce alla produzione dei quartetti, anche il trio ha esercitato nella attività di Beethoven un ruolo non secondario, fissandone in maniera puntuale gli aspetti stilistici più rilevanti dalla aggressività tematica di certi allegri iniziali all’incantevole eleganza lirica dei tempi lenti: è il caso proprio dell’Adagio dell’op. 11 che si apre con una melodia affidata al violoncello (e poi ripresa dal violino) di intensa cantabilità.
Il Trio Wanderer è complesso ammirevole per coesione e qualità individuali: esaltate queste ultime anche dall’utilizzo di strumenti davvero preziosi come il violino Pietro Guarneri del 1748 o il violoncello Goffredo Cappa del 1680.
Letture, insomma, accuratissime, supportate da felici scelte dinamiche ed espressive.
Il pubblico ha gradito con calorosissimi applausi finali.