Carlo Felice: il Mozart elegante di Lonquich

Nella storia della musica spesso la fama degli artisti maggiori mette in ombra chi potrebbe vantare la primogenitura in un particolare ambito. Così se parliamo di Notturni il pensiero corre a Chopin dimenticando John Field che di quella forma fu l’inventore. E così quando il tema è la sinfonia il primo nome citato è quello di “papà” Haydn che con la sua straordinaria produzione ha indicato la strada a Mozart e Beethoven e, attraverso loro, all’Ottocento.

In realtà alle spalle di Haydn ci sono stati due grandi capiscuola di cui lo stesso Mozart ha subito l’influenza: Jan Stamic, punto di riferimento della formidabile Orchestra di Mannheim e Giovanni Battista Sammartini, guida spirituale di una scuola milanese alla quale si avvicinarono Gluck, Johann Christian Bach e lo stesso Amadeus.

Sammartini e  Stamic condividono dunque l’onore di essere i padri della Sinfonia. E di Sammartini il pubblico del Carlo Felice ha potuto ascoltare ieri sera due Sinfonie nell’ambito del ciclo “Mozart l’Italiano”. Un bel concerto affidato all’intelligenza interpretativa di Alexander Lonquich che si è diviso fra il podio e la tastiera del pianoforte.

Lonquich ha dunque proposto le Sinfonie JC 17 e JC 26 di Sammartini e due Concerti per pianoforte e orchestra di Amadeus, il K 459 e il K 595.

Vissuto fra il 1770 e il 1775, Sammartini compose una settantina di Sinfonie nelle quali si avverte il graduale distacco delle forme barocche in un contesto formale articolato in tre movimenti nel quale spesso l’Andante centrale costituisce il momento più espressivo ed elegante dell’insieme. Una costruzione raffinata e spigliata, quella delle due partiture ascoltate ieri,  che Lonquich ha restituito al meglio, ben seguito dal complesso genovese.

Alternati alle due Sinfonie, i citati concerti che Lonquich ha diretto dal pianoforte nella doppia veste di direttore e solista. Due pagine ben note che evidenziano lo stile discorsivo di Amadeus che vede il pianoforte non in contrapposizione, ma in dialogo serrato e sereno con lo strumentale. Mirabile, in particolare il K 595, l’ultimo concerto pianistico composto dall’autore nel 1791. Lonquich ne ha assicurato una lettura raffinata, elegante nel tocco, trasparente nella esposizione tematica e quanto mai duttile nell’approccio dinamico.

Applausi calorosissimi e vari bis.