Quando nell’ottobre di trent’anni fa fu inaugurato con Il trovatore il nuovo Carlo Felice, la sua struttura architettonica interna e la sua tecnologia allora all’avanguardia, ne facevano un palcoscenico particolarmente adatto alla sperimentazione, declinata in tutti i suoi aspetti, da quello musicale a quello visivo.
I trent’anni trascorsi hanno raccontano un’altra storia, più portata alla trasmissione del repertorio (pur con qualche fuga indietro nel barocco e con qualche illuminata apertura verso il Novecento: si pensi al teatro di Britten o a titoli ancora sconosciuti ai genovesi di Hindemith, Weill, Henze) che a una autentica riflessione su un indirizzo di sperimentazione e di ricerca del nuovo. Una scelta, sia chiaro, assolutamente rispettabile che ha tenuto conto doverosamente dei bilanci, della necessità di mantenere un pubblico numeroso ecc. ecc.
Questa mattina è stato presentato nel foyer del Carlo Felice il dittico che inaugurerà l’8 ottobre prossimo la nuova stagione lirica.
Nell’introdurre l’incontro, il sovrintendente Claudio Orazi ha affermato: “Con questa inaugurazione il Carlo Felice si candida ad essere un teatro d’avanguardia che da un lato garantisce il mantenimento di un importante repertorio e dall’altro lavora ai fini di una continuità con la creatività contemporanea”.
Ci soffermeremo tra poco sul dittico in questione. Va però preliminarmente dato atto alla dirigenza del Teatro di aver cercato sin dallo scorso anno soluzioni culturali meno battute: basta ricordare la messa in scena del Trespolo tutore di Stradella, la recente esecuzione di Tagli di luce di Guarnieri, l’attenzione per il poco battuto repertorio italiano fra Ottocento e Novecento (la dimenticata Generazione dell’Ottanta). Il Carlo Felice, insomma, sembra voler cercare una propria identità alternativa a quella di altri teatri lirici più o meno vicini.
Sull’essere angeli, Pagliacci
In questa ottica si inserisce, dunque, il dittico dell’8 ottobre prossimo affidato alla bacchetta di Andriy Yurkevich e composto da Sull’essere angeli e Pagliacci.
Sull’essere angeli è un lavoro per flauto e orchestra che Francesco Filidei compose alcuni anni fa in omaggio alla fotografa americana Francesca Woodman, autrice di straordinarie opere visive di forte impatto drammatico, morta suicida poco più che ventenne. Per questa ripresa, Virgilio Sieni ha creato una coreografia che sarà interpretata dalla ballerina Claudia Catarzi. Flautista sarà Mario Caroli.
Pagliacci, musica e libretto di Leoncavallo, assunto, come è noto, a manifesto del verismo musicale, apparso nel 1892 sulla scia del trionfo che due anni prima aveva accolto Cavalleria rusticana di Mascagni, al di là delle critiche spesso piovute addosso al povero autore (soprannominato da Puccini e Mascagni bisbestia: bestia il primero, Leon, bestia il secondo, cavallo, bestia l’intero, Loencavallo) fu all’epoca un lavoro di estrema modernità per la sua idea di “teatro nel teatro” così battuta poi nel Novecento.
Il cast di Pagliacci prevede alla prima Fabio Sartori (Canio), Serena Gamberoni (Nedda), Sebastian Catana (Tonio), Michele Patti (Silvio) e Matteo Falcier (Peppe).
La realtà aumentata, una nuova dimensione
La novità fondamentale (e tecnologicamente innovativa) dell’allestimento di Pagliacci sta nella scelta da parte del regista Cristian Taraborrelli di “narrare l’opera attraverso un nuovo linguaggio che, a partire dall’azione in teatro e dalla realizzazione in video live sfoci in una forma di sperimentazione cinematografica in grado a sua volta di aggiungere verità con la narrazione in soggettiva dei personaggi esplosa in video grazie alla realtà aumentata in due e in tre D, ricomposta e fatta confluire in tempo reale sulla scena”
In pratica, dunque, il pubblico seguirà l’evolversi della vicenda in un doppio binario: la storia prevista da Leoncavallo (autore tanto della musica quanto del testo) e i contributi video, articolati in vari ordini di proiezioni che suggeriranno un’altra dimensione emotiva.
“Un lavoro molto complesso per noi cantanti – ha spiegato Serena Gamberoni – Noi siamo abituati a una prospettiva lontana dal pubblico che ci obbliga a caricare i gesti per renderli visibili a distanza. I primi piani, i particolari che registriamo per i video ci costringono invece a ripensare totalmente gestualità e mimica”.
Un’operazione insomma molto affascinante e difficile sul piano tecnico e sotto il profilo critico-interpretativo che si inserisce in una delle questioni oggi più aperte e discusse nel mondo della interpretazione operistica, quella registica.
Stabilita ormai da anni la “sacralità” della partitura, la regia è sempre più oggetto di riflessione e di sperimentazione, soprattutto in un’ottica cinematografica.
Non è per il teatro genovese la prima esperienza in questo campo. Ricordiamo due allestimenti del passato, entrambi interessanti nelle premesse. Possiamo ricordare nel vecchio Teatro Margherita, negli anni Ottanta la scandalosa realizzazione del Mefistofele di Boito da parte di Ken Russell: una rilettura tecnicamente perfetta con un taglio cinematografico a tratti geniale, ma assolutamente dissacratoria e provocatoria nei contenuti. Tre anni fa il Carlo Felice ospitò invece Aida con una videoscenografia: anche questa operazione fu interessante anche se troppo insistita nei cambi e nelle invenzioni.
Insomma la tecnologia può portare davvero a pensare in maniera nuova il teatro, l’importante è usarla bene nel rispetto delle altre componenti essenziali del discorso, in primis, la partitura.
Alla realizzazione del dittico dell’8 partecipa anche Rai Cultura che sarà presente alla prima con il suo staff e le sue telecamere: Rai 5 trasmetterà il dittico il 16 dicembre prossimo.