“A me pare che il miglior soggetto in quanto ad effetto che io m’abbia finora posto in musica (non intendo affatto parlare nel merito letterario e poetico) sia Rigoletto. Vi sono posizioni potentissime, varietà, brio, patetico: tutte le peripezie nascono dal personaggio leggero, libertino del Duca, da questo i timori di Rigoletto, la passione di Gilda ecc. che formano molti punti drammatici eccellenti e fra gli altri la scena del quartetto che in quanto ad effetto sarà sempre una delle migliori che vanti il nostro teatro….”. Lo scriveva Verdi il 22 aprile 18653 all’amico Somma, futuro autore del libretto del Ballo in maschera.
Verdi, ovviamente, non si sbagliava e in una prospettiva più lontana quale può essere la nostra è lecito porre Rigoletto tra i vertici assoluti del teatro non solo verdiano per la perfetta integrazione fra drammaturgia e partitura musicale: non c’è una nota fuori posto e non c’è una scena priva di efficacia.
Tutto questo spiega la popolarità dell’opera, confermata anche dai diversi modi di dire che dal libretto sono passati naturalmente nel nostro parlare comune, da “Pari siamo” a “La donna è mobile” a “Sì vendetta, tremenda vendetta”.
Scontato, dunque, che a ogni ripresa dell’opera il pubblico accorra numeroso e, infatti, ieri sera, il Carlo Felice era affollatissimo come da tempo non si vedeva.
I presenti, va detto subito, sono stati premiati: il più bello spettacolo delle ultime stagioni.
In un’opera come Rigoletto la qualità interpretativa del protagonista (al pari di Violetta personaggio duplice, profondamente complesso nella sua psicologia e, di conseguenza, nella scrittura musicale) è fondamentale. Ebbene, ieri sera, si è ascoltato un Rigoletto superbo: il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat. La voce è potente, di un timbro molto bello, la tecnica solida gli consente di modularla con scioltezza assicurando un fraseggio sempre elegante: il suo “Cortigiani vil razza dannata” è stato accolto da una autentica ovazione, ma anche il veemente sfogo dopo l’incontro con Sparafucile oppure il dolcissimo ricordo della moglie morta (“Deh non parlare al misero”) nella prima scena con Gilda, hanno evidenziato la capacità dell’artista di poter toccare con immediatezza comunicativa ogni registro espressivo.
Accanto al baritono, ha costituito una piacevole sorpresa Enkeleda Kamani, giovane soprano albanese, dalla voce fresca e duttile e dalla piacevole presenza scenica: applausi calorosi dopo “Caro nome” e “Tutte le feste al tempio”, ma lodevole anche nei due duetti con Rigoletto apprezzabili per il bell’equilibrio fonico raggiunto dai due artisti.
Sul podio c’era il giovane Jordi Bernacer che, a parte qualche squilibrio nella complessa prima scena del primo atto (la più corale e articolata con una continua diversificazione di piani sonori) ha trovato un perfetto rapporto fra buca e palcoscenico, ha sostenuto con intelligenza le voci, assicurato slancio alle effusioni liriche e affrontato con veemenza gli aspetti più drammatici della partitura.
Giovanni Sala, voce generosa, ha reso con impeto la figura del Duca; lodevoli anche Riccardo Zanellato (Sparafucile) e Caterina Piva (Maddalena).
L’allestimento, già visto in varie occasioni negli anni scorsi, si avvaleva della regia del compianto Rolando Panerai, qui ripresa dalla sua assistente Vivien Hewitt. La Hewitt, mantenendo il bell’impianto scenico, ha riadattato lo spettacolo ai cantanti di oggi, rivedendo alcuni aspetti della regia, ad esempio, modificando il balletto del primo atto (qui affidato alla coreografia di Nicola Marrapodi) e calcando in termini realistici la scena fra il Duca e la sensuale Maddalena che qui si concede alquanto generosamente.
Unico piccolo intoppo in una serata festosa, il lungo cambio di scena nel primo atto, dovuto probabilmente a qualche inconveniente tecnico, che ha costretto in pratica a un intervallo imprevisto. Ma, visto l’esito dello spettacolo, quei venti minuti in più non hanno pesato a nessuno.