Nel febbraio del 1965 il Teatro Chiabrera di Savona ospitò il “Processo di Savona”, un testo di Vico Faggi con la regia di Paolo Giuranna, prodotto dallo Stabile di Genova che in quegli anni avviò un interessante lavoro sul teatro-documento.
Ieri sera il Teatro Chiabrera ha accolto in prima esecuzione assoluta “Il caso Pertini”, musica di Giovanni D’Aquila su libretto di Emanuela Ersilia Abbadessa, una produzione dell’Opera Giocosa.
L’opera si ispira allo stesso processo affrontato da Faggi, processo che nel settembre 1927 si tenne nella Corte d’Assise di Savona per l’espatrio clandestino di Filippo Turati accompagnato dal giovane Sandro Pertini.
Tra gli imputati figuravano Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Lorenzo Dabove, Francesco Spirito, i fratelli Oxilia e Giuseppe Boyancè.
I magistrati Pasquale Sarno, Giovannantonio Donadu e Angelo Guido Melinossi accolsero la tesi della difesa, dichiarandosi competenti a giudicare in quanto la fuga era stata dovuta a problemi di salute e non a un disegno politico, evitando in questo modo che il processo passasse al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato che prevedeva la pena di morte per attività antifascista, ed era stato istituito il 25 novembre del 1926.
Il processo di Savona fu l’ultimo processo legale, segnò il drammatico passaggio dallo Stato liberale nato sui valori del Risorgimento all’abolizione di ogni garanzia costituzionale imposta dalla dittatura fascista. E la sua ricostruzione ci parla anche di qualcosa di drammaticamente attuale come, ad esempio, lo scontro fra la politica e la magistratura con la prima che cerca di imporre le proprie linee e la seconda che proclama con forza la propria indipendenza.
La realizzazione
Per affrontare un dramma così storicamente importante il direttore artistico della Giocosa Giovanni Di Stefano si è affidato al giovane compositore Giovanni D’Aquila, formatosi sotto la guida di Betta al Conservatorio di Palermo dove ora insegna.
“Il caso Pertini – spiega il compositore – è stata una sfida alla quale non sono riuscito a sottrarmi: intanto per le tematiche e i personaggi protagonisti, che mi appassionano profondamente rappresentando figure imprescindibili dalla nascita della nostra Costituzione e della nostra Repubblica; poi vi è l’impianto drammaturgico, così insolito e inusuale, indiretto, condotto a metà tra la rievocazione e il ricordo con un pizzico di nostalgia, e la prospettiva della vicenda, così particolare e contestualmente così attuale. D’altro canto, la narrazione diretta sarebbe stata alquanto complicata da rappresentare su un palcoscenico d’opera: la vicenda sarebbe stata trasformata in una sorta di legal thriller più televisivo che altro, ma senza le tensioni che sordidi e sanguinosi delitti potevano fornire. Quindi quella narrativa è la dimensione perfetta per rappresentare questa vicenda, nella quale alcuni dei protagonisti ricordano e narrano i fatti del processo ai quali hanno assistito, ne sono stati protagonisti o comunque ne erano coinvolti, direttamente o indirettamente. La musica asseconda questa impostazione drammaturgica, valorizzando la parola sopra ogni altro aspetto. L’impostazione della drammaturgia indiretta, narrativa, consente una più chiara oggettivazione dei fatti, di cui il vero protagonista dell’opera, il Giudice, ha bisogno per affrontare il suo compito e risolvere il profondo dilemma che gli si pone: Legge o Giustizia?”
D’Aquila e Abbadessa hanno dunque optato per un gioco di memoria: è la giornalista Barbara Barclay Carter, unica corrispondente straniera ammessa al processo a “ricordare”, anni dopo quelle drammatiche giornate. E dal passato, dunque, riaffiorano i protagonisti, da Rosselli, polemico e combattivo in aula, all’ombra di Pertini che ci parla dall’esilio, dal giudice, scosso da dubbi nella sua terribile solitudine, alla folla che si divide fra fascisti e antifascisti con slogan urlati da ambo le parti.
Il testo ha momenti molto interessanti per incisività e la musica di D’Aquila punta su un assoluto rispetto della parola. Le linee melodiche sono contenute, il supporto orchestrale discreto e affidato a un complesso cameristico. Una scrittura, nel complesso, di facile ed immediata percezione che ha forse i suoi momenti più felici negli scatti corali dove si sviluppano elementi polifonici di buona resa spettacolare.
Certo, la tecnica del ricordo, pur se interessante, rischia di rendere statico lo spettacolo. E forse, in una ipotetica revisione, i due autori potrebbero modificare una delle tre scene (quella centrale, ad esempio) passando dal ricordo alla rappresentazione “reale” del dibattimento con due avvocati che litigano, la folla che rumoreggia. Una visione più realistica che darebbe un respiro drammaturgico più intenso all’intero lavoro e della quale si gioverebbe anche la componente musicale.
L’esecuzione
Lodevole l’esecuzione da tutti i punti di vista. Il compito della regista Elisabetta Courir non era facile. In un’opera volutamente priva di un’azione reale, La Courir ha avuto tuttavia intuizioni felici riempiendo con intelligenza lo spazio disegnato da Francesca Marsella (tavoli, sedie, giornali documenti sparsi ovunque a fissare un luogo indeterminato, quello della memoria), lavorando sui caratteri dei protagonisti e movimentando laddove questo era possibile: così, in particolare, ha lavorato sulle entrate e le uscite del coro, sulla gestualità della folla incalzante.
Sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Savona e del Coro dell’Opera Giocosa (preparato da Gianluca Ascheri, Davide Massiglia ha diretto con puntualità, garantendo una lettura ordinata, senza forzare le dinamiche, in una dimensione prevalentemente lirica, ben assecondato dagli strumentisti in buca.
Ottimo il cast: Manuela Custer ha costruito assai bene la figura della giornalista che rivive la drammatica storia del 1927, Matteo Mezzaro ha dato voce vigorosa a Carlo Rosselli, Michele Patti ha reso con passione l’amata figura di Sandro Pertini, mentre Raffaele Barca, voce recitante, ha restituito con forte senso drammatico le ansie e il profilo etico del Giudice.
Applausi calorosissimi e meritati.