Nel panorama internazionale della musica da camera, il Quartetto di Cremona (Cristiano Gualco e Paolo Andreoli, violini, Simone Gramaglia, viola e Giovanni Scaglione, violoncello) occupa ormai da molti anni una posizione di assoluto prestigio. E’ certamente fra i Quartetti più quotati in virtù di indiscutibili capacità individuali e di un affiatamento assoluto, frutto di decenni di attività in comune.
Ieri sera i quattro strumentisti genovesi hanno inaugurato al Carlo Felice la stagione della Giovine Orchestra Genovese. E pur avendo scelto un programma certamente non “popolare” hanno attirato un gran pubblico che al termine del concerto non la finiva più di applaudire.
La scelta dei brani ha privilegiato un ristretto arco di tempo, i primi decenni del Novecento segnati da profondi mutamenti nel campo culturale e, in particolare, musicale.
Langsamer Satz Wo06 di Webern, ad esempio, del 1905, appare ancora lontano dai lavori puntillistici che avrebbero successivamente fatto del compositore il punto di riferimento dell’avanguardia postbellica. Qui si respira un’aria tardoromantica, la stessa che emanava una delle prime prove davvero mature del “maestro” Schoenberg, Notte trasfigurata per sestetto d’archi. In entrambi i casi il “modello” pare essere Brahms e non a caso lo stesso Schoenberg aveva scritto un saggio sul grande compositore tedesco intitolato “Brahms il progressivo”. Le atmosfere dense e cariche di tensione del brano di Webern sono state colte dal Quartetto di Cremona con una ricerca del suono e una eleganza di fraseggio straordinarie.
Virtuosismo solistico e perfetto affiatamento hanno sorretto la successiva lettura del Quartetto n.4 di Bartok che, come è noto, insieme a Sostakovic è stato il geniale cultore di questa forma strumentale nel Novecento, il più diretto erede, sotto certi aspetti, dell’estrema letteratura quartettistica beethoveniana. I sei Quartetti attraversano l’intera sua attività compositiva, segnalandosi per la ricerca attenta delle potenzialità espressive degli archi, per la struttura formale e per un linguaggio che accoglie tutte le sollecitazioni alle quali il compositore ungherese era sensibile, dal colto al popolare. Il Quartetto di Cremona ha mostrato una verve e una padronanza della scrittura bartokiana davvero encomiabile. Impressioni analoghe, infine, ha stimolato il successivo Quartetto n.2 di Janacek (Lettere intime) risolto con pathos e raffinatezza.
Applausi come si è detto interminabili e ampiamente meritati, con conseguenti bis da Mendelssohn. Una bella inaugurazione davvero.