Riflessioni di un abbonato – La rinuncia del Teatro

Nel mondo del teatro si è formata una scuola di registi tuttofare, non solo la regia, ma anche l’ansia di dimostrarsi bravi autori.

Così succede quello a cui ho potuto assistere, quale decennale frequentatore del nostro Teatro Nazionale, in questa stagione di prosa.

Dei disastri!

La mia attenzione si è fermata su tre spettacoli a cui, tratto in inganno dal dépliant di presentazione, ho avuto la dabbenaggine di assistere.

Il primo: Anna dei miracoli di William Gibson, una splendida commedia in tre atti che narra come Ann Sullivan abbia compiuto sforzi inenarrabili per portare “tra noi” la povera Ellen Keller. Bene la regista Emanuela Giordano ha pensato bene di tralasciare la parte più importante del testo, cioè far vedere gli sforzi compiuti dall’insegnante e riducendo il tutto alla durata di un’ora e un quarto. Bravi gli attori, ma straziante.

Viene poi la volta de La Tempesta di William Shakespeare con “adattamento e regia” di Luca De Fusco. Adattamento vuol dire rimaneggiare il meraviglioso testo del poeta inglese, trarne qualche spunto e ridurre tutto alla durata di un’ora e quaranta minuti. Inutile la presenza di Eros Pagni, sempre eccellente, ma si è perso il senso dell’intera vicenda di Prospero.

Infine, e viene il più bello: Antigone di Sofocle, così recitava la locandina ma, alla visione dello spettacolo, ben ordinato e recitato altrettanto bene, il nome di Sofocle mi è parso smarrito. Infatti, la regista Laura Sicignano, con la collaborazione di Alessandra Vannucci, ha pensato bene di ridurre il tutto a un’ora e un quarto e, aiuto, aiuto, aggiornare anche il linguaggio.

Del povero Sofocle rimaneva soltanto “l’idea” di Antigone sacrificata a questa deprimente “teatro di regia”.

Il guaio non è per me che conosco i classici, ma per i molti giovani studenti presenti agli spettacoli che credono di aver visto due classici e invece hanno visto il divertissement di due registi che alla interpretazione rigorosa di un testo preferiscono la sovrainterpretazione, adattando il testo stesso a una idea di teatro che magari non è quella degli autori. Mi viene in mente quanto ha sostenuto più volte a questo proposito Marco Sciaccaluga, regista storico del nostro Teatro le cui letture  sono sempre rispettose della parola degli scrittori, siano essi classici o moderni. Del resto l’esigenza di “aggiornare” induce spesso i registi a inventare in maniera per lo meno discutibile: lo fa anche, nel settore lirico, l’attuale Direttore del Teatro Nazionale, Davide Livermore.

Ed ecco la rinuncia del teatro.

Il teatro ha sempre avuto la funzione di istruire, rappresentare i vizi e le virtù dell’umanità, sempre uguale nei secoli, e fare apprezzare attraverso la “parola” il significato della nostra vita e dei sentimenti che ci legano come comunità. Con questi spettacoli il teatro rinuncia alla sua funzione educatrice soprattutto verso le nuove generazioni che cresceranno sempre più nella superficialità e nel pressapochismo.

Lascia un commento