“O Stafì”, l’informazione in genovese

Da qualche anno stiamo assistendo ad una sorta di riscoperta del genovese, per anni bistrattato e trascurato. E così recentemente è nato anzi è “risorto” ‘O Stafi’, una rivista completamente scritta in genovese,  ideata da Andrea Acquarone e Camilla Ponzano. Un mensile che ritorna dopo oltre 100 anni, e che vuole essere uno spazio di riflessione, di critica e di libertà, pensato come le Gazzette dell’Ottocento, quattro pagine, di cui la prima riservata agli editoriali, la seconda all’attualità, la terza alla cultura e la quarta agli spettacoli che si avvale di molti collaboratori illustri e di cui Acquarone è direttore.

-Come è nata l’idea di pubblicare un giornale in genovese?

«L’idea nasce sviluppando l’esperienza di Parlo Ciæo, la pagina domenicale del “Secolo XIX”, che negli anni ha dimostrato come sia possibile fare informazione, riflettere sulla realtà culturale e sociale del territorio, raccontare storie, utilizzando la nostra lingua storica. Del resto, il genovese è comunque ancora la seconda lingua più parlata della regione, e c’è più che altro un blocco emotivo-psicologico che gli impedisce di svolgere una funzione normale nella società. C’è stato stupore quando Parlo Ciæo venne lanciato con successo, nel 2015, e ci si stupisce ora che O Stafì sembra che si stia conquistando uno spazio nel mercato dell’informazione ligure, ma forse quel che doveva stupire era l’assenza di iniziative come questa».

-Avete scelto di “ripescare” una testata storica. Come l’avete scoperta?

«Nell’800 uscivano diverse riviste, giornali, settimanali in genovese, le più famose sono “O Balilla”, O çittadin e appunto O Stafì. Di queste O Stafì (in italiano, la frusta, lo staffile) era quella più battagliera, più orientata alle posizioni socialmente avanzate, attento all’ambiente – con speciale interesse alla sensibilità sul tema del trattamento degli animali – alle condizioni di vita e di istruzione del popolo, all’igiene, all’etica della vita politica. Sono tutti temi che, messi in contesto e aggiornati, sono spendibili ancora oggi. Per questo ci sembrava interessante recuperare il nome di questa testata, piccola ma gloriosa, anche per mostrare una continuità nella carta stampata genovese».

-Avete accettato una bella sfida! Che risultati vi aspettate e che obiettivi vi siete prefissati?

«Dal prossimo numero dovremmo aumentare le copie ed essere distribuiti capillarmente su tutto il territorio, in ogni edicola da Cogoleto a Chiavari; se i lettori ci confermano la fiducia dimostrata nelle prime due uscite, il progetto dovrebbe sostenersi e si può dire che sia veramente partito, uscendo dalla fase di sperimentazione. L’obiettivo è quello non solo di svolgere un ruolo di promozione della lingua genovese, ma più che altro di animare il dibattito pubblico e arricchire l’informazione, in un panorama a dire il vero sempre più povero e concentrato in poche mani. In questo senso il nostro Stafì si pone in continuità ideale con l’edizione storica: parla chiaro, dice cose scomode, fa riflettere».

 

-Fra quale target pensate di attingere più lettori?

«I target sono fondamentalmente due: quello degli amanti della lingua genovese, che si suppone siano felici di sapere che esista una rivista nella lingua di Andrea Doria e Colombo, e chi si interessa della vita politica, culturale e sociale del nostro territorio. A costoro potrà sembrare più faticoso affrontare la lettura degli articoli in genovese (per altro, scritto non “stretto”, se così si può dire), ma lo stimolo è quello di arrivare a pubblicare interventi e reportage così interessanti che il lettore sia portato a fare lo sforzo per “sapere cosa dice lo Stafì“».

-Come è strutturata la vostra redazione? Chi sono i vostri collaboratori?

 «La nostra redazione è al passo coi tempi: assolutamente immateriale. Siamo Camilla Ponzano ed io, lei si occupa della grafica e dell’impaginazione, io della traduzione e dei titoli. Entrambi scegliamo i collaboratori e i temi da affrontare, e devo dire che ho riscontrato un interesse addirittura al di là delle aspettative in quanto a possibili collaboratori. Nel prossimo numero scriverà per noi ad esempio Bruno Morchio, ma anche Elisa Serafini, Giuliano Galletta, insieme ad altri nomi meno conosciuti, ma emergenti. Nei numeri precedenti abbiamo ospitato contributi di intellettuali, operatori culturali, politici, del sociale, ambientalisti.  Poi ovviamente scriviamo anche noi».

-O Stafì, la frusta in italiano, era un giornale progressista. Manterrete quella linea editoriale?

«Come detto, c’è una continuità ideale, ma i temi e le sensibilità sono aggiornate. Del resto, se è vero che il giornale esprime una linea regionalista, ambientalista, sicuramente attenta ai temi sociali e culturali, l’intenzione è lasciare spazio a interventi  di personalità fuori da questo recinto. Non cerchiamo di creare un recinto, ma di arricchire una riflessione sempre più necessaria».

-Raccontateci di voi. Che percorsi personali vi hanno portato a condividere questa avventura?

«Camilla ed io condividiamo l’impegno sociale e culturale a fianco delle nostre professioni, lei come architetto io come economista e consulente. Presidenti di due diverse associazioni (“Riprendiamoci Genova” e “Che l’inse!”) abbiamo iniziato a collaborare nel 2018 organizzando una manifestazione a seguito del crollo del Ponte Morandi, in cui si chiedeva che la città si dotasse di un piano di sviluppo strategico, per smetterla di navigare a vista, e che una parte delle imposte generate dal porto restassero a disposizione del territorio. Poco dopo abbiamo iniziato a pensare a questo spazio in cui convogliare la riflessione, uno spazio di libertà, una voce ligure nel concerto europeo. Pensiamo al locale, ma con occhi internazionali».