Morchio: scrivere mette in gioco le proprie risorse interne

Bruno Morchio non ha bisogno di presentazioni e alla fine neanche di recensioni, i suoi libri si comprano sulla fiducia e non si resta mai delusi. Il suo ultimo giallo “Dove crollano i sogni”(Rizzoli) è tra i cinque finalisti del prestigioso Premio Scerbanenco, riconoscimento letterario italiano per il noir, intitolato al maestro della narrativa di genere. Abbiamo intervistato Morchio anche per fare alcune riflessioni sulla cultura ai tempi della pandemia e dei social, ma non potevamo che iniziare la nostra chiacchierata parlando del suo ultimo successo.

«E’ uno dei libri più belli che ho scritto, o comunque è il più originale. Ricalca i grandi classici del giallo e penso si senta l’influenza di Simenon. Siamo nella periferia genovese, a Certosa: la protagonista e voce narrante è Blondie, una ragazzina di diciassette anni, che sogna di scappare in Costa Rica, ma per farlo ha bisogno di soldi ed è disposta a tutto. La storia si svolge all’ombra del Ponte Morandi prima del crollo, con una bella e amara sorpresa per Blondie proprio sul finale. E forse questo romanzo se non ci fosse stato il dramma del crollo non avrebbe mai visto la luce.»

A proposito di tragedie, come ha vissuto il periodo del lockdown?

«All’inizio non riuscivo a scrivere e soprattutto a leggere. Ero assorbito dai social, dai giornali online in maniera quasi ossessiva. Questo per i primi venti giorni. Poi ho avuto la reazione opposta e ho cominciato a leggere; ho letto tantissimo come non mi capitava da anni. Il lockdown fermandoci ci ha costretti a metterci in contatto con il nostro mondo interiore.»

Che rapporto ha con la scrittura?

«Scrivere mette in gioco le nostre risorse interne; può capitare di non averne voglia perché magari è scomodo. Quando mi metto a scrivere, devo essere sincero, faccio molta fatica. Non sono facile alla scrittura; non sono un Mozart. Tra me e la scrittura è una lotta continua: stampo, rileggo, correggo, ristampo. Il foglio bianco è un po’ uno specchio dove  butto dentro quello che ho, anche le parti torbide, nobilitandole.»

Venendo al personaggio che le ha dato il successo… Come è cambiato Bacci Pagano in tutti questi anni?

«È un personaggio che è cambiato molto, come – d’altra parte – sono cambiato io. Prima in Bacci c’era un protagonismo “testosteronico”, adesso è più defilato, è diventato una sorta di testimone del suo tempo. Senza troppi giri di parole diciamo che è più vecchio, nell’agire e nel sentire.»

Genova e tutta la Liguria lo amano molto anche adesso, comunque…

«Lo amano devo ammetterlo. Quindi quando a Genova esce un mio nuovo libro c’è sempre un po’ il timore che la gente si aspetti un nuovo Bacci. Invece, mi hanno mandato da poco la classifica e, inaspettatamente, Dove crollano i sogni è il più venduto a Genova. Sono contento, anche perché è un buon libro.

Una bella soddisfazione visto che in questo periodo c’è un gran fiorire di romanzi e soprattutto di gialli…

Non so perché. Abbiamo questa pletora di produzioni gialle che hanno invaso il mercato, con il vantaggio che hanno avvicinato molti alla lettura. Però ci sono anche molti, troppi,  cliché, intrecci già letti, investigatori prevedibili. Ecco, io posso dire che con questo ultimo romanzo ho fatto qualcosa di originale. Ma se ripensiamo a Bacci, nel suo genere, anche lui aveva dei tratti originali: la genovesità, la città… Oggi si perderebbe nel mare magno di personaggi femminili che stanno invadendo il genere noir.»

In questo 2020, anno non facile, lei è legato a due numeri che su carta non portano bene! Sfatiamo la superstizione?

«Esatto sono al mio 17 esimo romanzo e al 13 esimo di Bacci, speriamo che invece questi numeri portino bene, per ora non mi posso lamentare.»

Che cosa pensa dei giovani e della lettura. Il loro social di riferimento ormai è TikTok dove non c’è nulla di scritto solo video

«Già i Millennial leggevano poco; erano una generazione che non aveva le nozioni, ma almeno aveva la capacità di trovarle. Adesso la situazione sta peggiorando perché i giovanissimi non sono più stimolati.

Per lavoro, già negli anni ottanta, mi ero occupato delle dislessie evolutive. Adesso si è “sanitarizzato” un problema che ha origini altrove. I giovani leggono solo per acquisire informazioni o per dovere scolastici e quindi faticano. Non c’è più il gioco, il gusto della lettura. Ricordo quando ero bambino e aspettavo con ansia l’uscita de Il grande Bleck, che all’inizio mi leggeva mamma. Ecco, alla fine io ho imparato a leggere dai fumetti. Questi ragazzi temo che non siano invogliati. È questo il problema.»