Di corda e di Fiato

Il concerto che si è tenuto ieri sera nella Chiesa di Santa Maria del Prato è una delle serate del Festival musicale “Le Vie del Barocco” 2020, un festival giunto alla sua XXVII edizione che, nonostante le difficoltà solite e inedite di chi si occupa di organizzare eventi culturali e musicali, è riuscito anche quest’anno a partire e ad organizzare un calendario di eventi davvero vario e interessante. La chiesa, location davvero suggestiva e adatta ad ospitare un duo strumentale intimo e particolare come quello composto da un flauto traverso e un’arpa, è quasi piena (per quello che la distanza di sicurezza consente) e la cripta che accoglie e incornicia i musicisti da subito crea un’atmosfera raccolta e di intima intesa con il pubblico.

Il merito però non è solo dell’ambiente, al concerto precede infatti un’introduzione musicale, uno spazio ritagliato per un giovane musicista, il chitarrista Luca Repetti che esegue un brano dei primi del ‘700 in tre movimenti (ouverture, sarabanda e corrente) per chitarra sola. Con un bel respiro e un ottimo tocco le armonie e gli abbellimenti classici del Barocco che risuonano nella chitarra riempiono quindi la chiesa introducendo in maniera garbata ma elegante la dolcezza armonica dell’arpa che sta per suonare e il respiro del flauto che a lei si accompagna.

Entrano quindi i musicisti, entrambi prime parti al Teatro Carlo Felice, Francesco Loi al flauto e Laura Papeschi all’arpa. Il programma inizia con la Sonata BWV 1020 in sol minore di Bach, le cui note risuonano grazie all’acustica della chiesa, più generosa per le corde che per i fiati. I due professionisti però non ci mettono molto per ritrovare gli equilibri sonori e con una maestria nella gestione delle dinamiche, del fraseggio e degli scambi melodici che rende giustizia alla fama che li contraddistingue eseguono i tre movimenti (allegro, largo e allegro) della sonata. L’articolazione e il tocco della Papeschi sono ineccepibili e le corde pizzicate dell’arpa sembrano quasi gocce d’acqua che cadono echeggiando in un lago nascosto nella cripta della chiesa. Ad esse si sommano le note del flauto che porta avanti le frasi di Bach con un bel respiro, fin troppo ampio e romantico a volte per Bach ma comunque piacevole visto il tempo abbastanza tranquillo con cui i due musicisti hanno deciso di eseguire questa sonata.

Il concerto prosegue con il Gran Duo Concertante di Giuliani, compositore italiano attivo a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, diventato molto famoso a Vienna e tra i suoi contemporanei. L’esecuzione di questo secondo brano è veramente ineccepibile, come dimostrano l’applauso generoso e i numerosi “bravi!” alla fine del pezzo. Con pulizia estrema le frasi vengono portate avanti e l’articolazione e il fraseggio straordinario dell’arpa trova spazio all’inizio del II movimento (andante molto sostenuto) dove Giuliani, ribattezzato “Paganini della chitarra” e bravissimo compositore per questo strumento la cui parte originale questa sera viene suonata dall’arpa, si muove tra il modo maggiore e il modo minore costruendo specialmente su quest’ultimo frasi melodicamente allettanti e armonicamente interessanti. Nel terzo movimento (allegro espressivo) è la bravura di Francesco Loi a venire fuori nell’esecuzione sempre fertile e mai sterile delle numerose ripetizioni e ritornelli, sempre diversi ma sempre valorizzati con differenti intenzioni.

Quando inizia l’ultimo brano, la Sonata per flauto e arpa di Nino Rota, si sente subito che qualcosa è cambiato. Il linguaggio musicale e le armonie sono fin da subito diverse, forse più facili per un orecchio del nostro secolo maggiormente abituato alle atmosfere della musica da film di cui questo compositore è stato grande maestro; il flauto si muove nella sua tessitura medio-acuta in cui è più comune ritrovarlo mentre fino a questo momento era rimasto in quella medio-grave (anche perché il flauto nel barocco aveva solamente due ottave e mezzo di estensione ed erano pochi i compositori che osavano verso l’acuto) e le aperture delle frasi sono quelle tipiche del secondo ‘900. Con pulizia estrema, pienezza sonora e un esteticamente affascinante direzionalità delle frasi, anche l’esecuzione di questo brano conquista il pubblico.

 

Tra i numerosi applausi i musicisti eseguono ancora due bis. Una sonata di Giuseppe Rabboni, compositore dell’800, autore di numerose sonate e studi per flauto, il cui stile è stato definito dallo stesso Loi “belcantista” per la vicinanza espressiva alle arie operistiche di Donizetti e Bellini, espressività che il musicista riesce ancora una volta ad interpretare ed esaltare, e l’Entr’acte dall’opera Carmen di Bizet per flauto e arpa, brano che non ha bisogno né di presentazioni né di commenti.