Giornata della memoria: suonare ad Auschwitz

Nel 1936 alcuni studiosi tedeschi scoprirono nel registro della Cattedrale di San Lorenzo un documento scottante: il certificato di matrimonio di Johann Michael Strauss, nonno di Johann Strauss senior ne denunciava inequivocabilmente l’origine ebraica. Per i nazisti fu una rivelazione imbarazzante: non si poteva certo vietare i valzer ai viennesi, sarebbe scoppiata una rivoluzione. Nel più stretto riserbo, gli studiosi furono convocasti dalla Gestapo e venne loro imposto il silenzio. La pagina del registro della Cattedra­le di S.Stefano relativa al vecchio Strauss fu eliminata. Gli Strauss vennero così purificati!

Una sorte ben diversa toccò a tutti gli altri artisti. Come è noto con l’avvento del nuovo regime nazionalsocialista in Germania (1933), fu avviato un programma di pulizia etnica anche nell’ambito dell’arte, con l’epurazione dei musei tedeschi da tutte le opere moderne: cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste. Vennero confiscate più di seimila opere, tra quadri e sculture, in parte destinate al rogo, in parte vendute all’asta a musei americani e svizzeri e in parte esposte al pubblico ludibrio nella mostra di “Arte degenerata”. In questa mostra, inaugurata da Hitler nel 1937, le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e dal prezzo ovviamente “altissimo”, che i musei avevano precedentemente pagato agli “speculatori ebrei”. L’esposizione si proponeva di mostrare al pubblico quei generi artistici non ammessi dalla nuova “razza superiore”, definiti appunto come “degenerati”. L’apertura dell’esposizione avvenne il giorno dopo l’inaugurazione di una Grande Rassegna di arte Germanica, che comprendeva invece opere gradite al regime. Per effetto indesiderato, e per questo destinato a diventare un boomerang, la mostra di arte degenerata ebbe un successo di gran lunga maggiore di quella dell’arte ufficiale; la sua apertura dovette essere prolungata ed il pubblico (si conteranno alla fine più di un milione e duecentomila persone) fu costretto a lunghe attese prima di vederla, attratto soprattutto dallo scandalismo per il quale essa era stata vietata ai più giovani. Il risultato di tale programma fu l’enorme pubblicità all’estetica “degenerata”, destinata a diffondersi ovunque a distanza di pochi anni, a regime nazista finito.

I nazionalsocialisti cercarono di riformare l’intera cultura e di assoggettarla alla loro ideologia. E a farne le spese, naturalmente, anche la musica e i musicisti.

Ad essere epurati, non furono solo artisti viventi, come Schönberg, costretto all’esilio, ma anche compositori del passato: fu ad esempio vietata la musica di Mendelssohn, di origini ebraiche. Fra i contemporanei invece ebbe onori Carl Orff (in seguito accusato di connivenza con il regime di Hitler, accusa dalla quale il celebre autore dei Carmina Burana si difese sempre strenuamente), mentre Richard Strauss si chiuse nella sua villa di Garmisch in Baviera vivendo gli ultimi anni appartato.

L’Orchestra di Auschwitz in prova 

 

Nel 1980 uscì un film (“Playng for time”) che racconta una storia reale avvenuta nel campo di Auschwitz dove un ufficiale delle SS, appassionato di musica  formò un’orchestra femminile. A capo del complesso c’era Alma Maria Rosè, nata nel 1906 a Vienna, figlia di Arnold (violinista, ebreo, fondatore con il fratello Eduard del Quartetto Rosé) e di Justine Mahler, sorella del grande compositore Gustav. Abile violinista, Alma Maria aveva intrapreso una carriera di successo che l’aveva portata ad esibirsi in Francia e in Olanda. Nel 1942 in Francia fu arrestata e portata ad Auschwitz. Lì, su ordine di Alois Brunner riunì sessanta strumentiste, oltre a venti copiste musicali. L’orchestra dilettò per molte serate Brunner e gli altri gerarchi nazisti.

Alma Maria Rosè morì la sera del 5 aprile 1944, probabilmente per avvelenamento da cibo. Molte delle orchestrali finirono nelle camere a gas. Si salvò Fania Fenelon che emigrata negli Stati Uniti raccontò la storia di quella straordinaria Orchestra nel romanzo Playing for Time da cui fu tratto appunto il film.

Il caso dell’orchestra femminile non è isolato nel tragico periodo delle deportazioni naziste. Nel campo di concentramento di Terezin (Theresienstadt, oggi in terra ceca), vennero raccolti molti musicisti praghesi, dal direttore d’orchestra, sopravvissuto, Karel Ančerl ai meno fortunati Viktor Ullmann (autore di un capolavoro interamente composto nel Lager, l’opera Der Kaiser von Atlantis) e Hans Krása, cui si deve l’opera per bambini Brundibár, rappresentata nel campo di concentramento: tutti gli interpreti vennero poi uccisi ad Auschwitz.

Al dramma degli ebrei naturalmente sono state dedicate molte pagine musicali. Su tutte merita una citazione “Un sopravvissuto di Varsavia” scritto nel 1947 da Schoenberg: una voce recitante racconta in inglese con alcune frasi in tedesco il momento in cui un gruppo di prigionieri ebrei viene fatto uscire dalle baracche per essere portato nelle camere a gas. Tremendo è il momento della conta, sottolineato musicalmente da un ritmo incalzante: “Fu allora che udii il sergente che gridava: “Abzählen!” (“Contateli!”). Cominciarono lentamente e in modo irregolare: Uno, due, tre, quattro -“Achtung!” (“Attenzione!”) il sergente urlò di nuovo, “Rascher! Nochmals von vorn anfange! In einer Minute will ich wissen, wieviele ich zur Gaskammer abliefere! Abzählen!“ (“Più svelti!” “Cominciate di nuovo da capo! Fra un minuto voglio sapere quanti devo mandare alla camera a gas! Contateli!”.) Ricominciarono, prima lentamente: uno, due, tre, quattro, poi sempre più presto, sempre più presto tanto che alla fine risuonò come una fuga precipitosa di cavalli selvaggi, e tutto ad un tratto, nel mezzo del tumulto, essi cominciarono a cantare lo Shema Ysraël”. Una pagina da ascoltare e su cui continuare a riflettere per non dimenticare.

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