Le strade del suono: extreme minimalism

Ieri sera, in co-produzione con la Fondazione Luzzati – Teatro della tosse, si è tenuto uno dei concerti della rassegna “Le strade del Suono 2021 – Grido”, festival organizzato da Eutopia Ensemble che si propone di diffondere la musica contemporanea nel territorio di Genova.

Sull’intrigante palco de La Claque il pubblico, entrando e sedendosi ai tavoli, ha potuto osservare quattro organi elettrici che sono stati protagonisti di gran parte del programma portato dall’Ensemble Sentieri Selvaggi, gruppo che più di tutti ha contribuito a diffondere la cultura musicale contemporanea americana in Italia e che ieri sera ha presentato alcuni pezzi del minimalismo delle origini, quello più puro ed estremo. Gli organi elettrici, come ha raccontato Giovanni Mancuso, che ha impreziosito ogni esecuzione con una breve presentazione, sono di prima generazione, sono cioè uguali agli strumenti originali su cui i compositori pensarono ed eseguirono i loro brani tra gli anni ’60 e ’70. Nell’ascoltare il loro suono “sporco” il pubblico ha così potuto assistere ad un’esecuzione “storicamente informata” di questi brani di musica contemporanea.

Nella musica contemporanea il titolo del brano è la presentazione al pubblico di ciò che sta per ascoltare, di ciò che sta per accadere. Music in Similar Motion di Philip Glass ha dato inizio al concerto. In questo brano il compositore impiega il processo additivo, che consiste nell’utilizzare sempre lo stesso pattern ma modificato ogni volta di uno o due bit in modo da non essere mai uguale a se stesso. La ricerca che si cela dietro le prime composizioni minimaliste sfida la percezione dell’ascoltatore prendendo spunto anche da altre culture: il processo additivo infatti è derivato dalla musica indiana, mentre Music for pieces of wood di Steve Reich, che i musicisti hanno eseguito poco dopo, è ispirato alla poliritmia africana, in cui le diverse figure ritmiche suonate dalle claves si incastrano tra loro progressivamente prima su un tempo in 6/4, poi in 4/4 per arrivare infine ad un 3/4. Grazie a questo pezzo il pubblico ha potuto cogliere come la musica minimalista, considerata così razionale, sia invece estremamente fisica, in grado di coinvolgere la nostra corporeità oltre che la nostra mente in maniera molto profonda.

Un momento del concerto

Successivamente a questi brani sono stati eseguiti Keyboard Study n.2 di Terry Riley, che come Glass usa dei pattern ripetuti che però possono essere variati dai musicisti rendendo ogni esecuzione unica, come nel jazz, e altre due pagine di Steve Reich: Violin Phase e Four Organs.

Piercarlo Sacco al violino ha interpretato la prima, che è uno dei brani in cui Reich usa la tecnica del phasing, da lui scoperta per errore ascoltando due tracce registrate su nastro che, andando a velocità leggermente diverse, pur partendo all’unisono, si svasavano lentamente, in maniera impercettibile.

La seconda, uno dei brani più importanti del primo periodo del minimalismo, consiste invece, per riportare le parole del compositore stesso, in “un accordo corto che diventa lungo”. Ed è proprio questo che il pubblico ha ascoltato per quindici minuti: mentre Mirco Ghirardini alle maracas ha tenuto la pulsazione degli ottavi, gli altri quattro musicisti, Valentina Messa, Giovanni Mancuso, Carlo Boccadoro e Andrea Rebaudengo, hanno suonato un accordo di dominante sovrapposto alla sua tonica che si sono dilatati sempre più nel tempo. Sebbene questo pezzo sia quando fu eseguito per la prima volta negli anni ’70 sia quando qualche mese fa andò in onda sui canali radio della Rai abbia suscitato reazioni molto avverse (alcuni dei commenti che ci riporta Mancuso sono “c’è già la pandemia in questo periodo”, “bisogna essere fuori di testa per scrivere e per ascoltare questa roba”), nella piccola sala di ieri ha scatenato invece un applauso sentito ed entusiasta. In questa estrema dilatazione il pubblico ha la possibilità di ascoltare l’accordo come mai ha potuto fare prima, di coglierlo nelle sue infinite sfumature e di perdersi nei suoi cambiamenti così impercettibili. La dilatazione così costruita nel tempo è un inganno continuo alla capacità del nostro orecchio di percepire e capire. Per riuscire a comprendere il nostro orecchio ha bisogno di qualcosa che si ripete come ha bisogno di punti di riferimento. Nella ripetizione variata di Philip Glass e di Terry Riley o nella dilatazione di Reich, questi punti di riferimento si perdono completamente e l’orecchio si trova sperduto e confuso permettendo alla mente di entrare in un loop senza uscita che scatena i pensieri. Così lo spettatore è completamente investito dalla musica.