Madre Courage al tempo della guerra in Ucraina

“Dal mio punto di vista li considero dei profeti: se prendo Eschilo, Shakespeare o Molière non li vedo come voci che vengono dal passato, ma dal futuro. E’ naturalmente un paradosso; ma l’universalità dei classici sta in questo: aver capito e intuito genialmente cosa è l’umanità proiettandola nel futuro”.  Ragionava così sul “teatro classico”, alcuni anni fa, il regista Marco Sciaccaluga. Citava la tragedia greca, il teatro di Shakespeare e di Molière, ma nel suo ragionamento sarebbe potuto entrare tranquillamente anche il teatro epico di Bertolt Brecht, ormai un “classico” a pieno titolo. Un “classico”, aggiungiamo, al quale il Teatro Nazionale di Genova ha da sempre guardato, tornandoci periodicamente per mostrarci, attraverso i suoi personaggi, la miseria umana e il disfacimento della nostra società.

Madre Courage e i suoi figli occupa un posto particolare nella storia del nostro Stabile. Fu Squarzina a mettere in scena il capolavoro brechtiano nel 1970 con una grandissima Lina Volonghi nel ruolo della protagonista. Poi, nel 2002,  proprio Sciaccaluga (che da giovane attore aveva preso parte alla terza edizione del lavoro di Squarzina) ripropose una sua lettura con un altro mostro sacro delle scene italiane, Mariangela Melato.

Ieri il Nazionale ha presentato in prima nazionale al Teatro Modena la terza Madre Courage puntando su una giovane e promettente regista, Elena Gigliotti, formatasi alla Scuola dello Stabile. La traduzione porta la firma di Saverio Vertone.

L’attualità di Brecht è drammaticamente legata all’attualità della guerra. Non c’è periodo storico, purtroppo, senza eventi bellici. E Brecht, ispirandosi alla Guerra dei Cent’Anni, la racconta dal punto di vista dei poveracci, dei soldati che cercano di campare, del sacerdote costretto a nascondere la tunica o del cuoco che si arrabatta fra i fuochi per accontentare il generale e salvare la pelle. Soprattutto, la racconta dalla parte di Madre Courage una venditrice ambulante che vive la guerra in maniera contraddittoria: non può farne a meno perché da lei dipende la possibilità di vendere mercanzie e quindi sopravvivere; ma nello stesso tempo ne deve sopportare la brutalità con la inevitabile perdita dei figli. Una donna dura per la quale il bene principale è il carro, la sua casa, la sua vita.

Un momento dello spettacolo (foto Federico Pitto)

 

Lo spettacolo proposto da Elena Gigliotti ha elementi di sicuro fascino e di forte tensione emotiva. Tuttavia ci è parso in generale un po’ ridondante. Alle prese con un testo straordinariamente ricco di stimoli, la regista lo ha sovraccaricato di elementi che presi singolarmente hanno una loro giustificazione narrativa, assunti nell’insieme hanno finito, a nostro parere, per risultare quasi disorientanti.

Lo spazio scenico è totalmente spoglio, campeggia solo il carro di Madre Courage posizionato su una pedana circolare. Il sipario è composto di abiti più o meno stracciati, un murales di vittime di guerra. Il conflitto di cui si parla non ha apparentemente riferimenti temporali, tuttavia è evidente che il pensiero sia rivolto alla Ucraina. E la regista sfrutta ogni mezzo espressivo, compresa la danza, mescolando linguaggi differenti come richiede il teatro brechtiano, ma ricorrendo anche a tecniche comunicative diversificate:  non solo i cartelli didascalici consueti, ma anche un video che trasmette di continuo notizie di TG o spot pubblicitari, dirette televisive e filmati che scorrono sul fondo a rendere qua e là più truce il racconto bellico. Sul carro di Madre Courage campeggia una M che rimanda a una celebre catena di ristorazione americana, mentre la figlia parte a ritirare merci utilizzando un bauletto di Glovo.

Il consumismo odierno insomma fa irruzione nella storia, così come irrompe la nostra società multietnica: i soldati  e i contadini parlano con inflessione americana, slava, veneta, genovese, francese, araba. Madre Courage ha l’accento di una rom. Una Babele un po’ eccessiva che conferisce qua e là una impronta quasi parodistica.

Belle, comunque, alcune soluzioni poetiche: la danza del figlio ucciso, ad esempio, che rimanda alla “Pietà” ha costituito un momento di forte fascino emozionale.

Il commento musicale era affidato a Matteo Domenichelli che da un lato ha adattato le pagine originali di Paul Dessau, dall’altro ne ha scritte di proprie: alcuni momenti (ad esempio il canto finale della figlia di Madre Courage) sono risultati piacevoli ed evocativi.

Un momento dello spettacolo (Foto Federico Pitto)

 

Ottimo il cast. Simonetta Guarino è stata una irruente  Madre Courage. Aldo Ottobrino ha vestito con autorevolezza i panni del cuoco (energica la scena recitata in platea), Andrea Nicolini si è districato con la consueta verve fra diversi personaggi. Bravi i tre figli: Didi Garbaccio Bogin, Aleksandros Memetaj, Sebastiano Bronzato. E molto brava Esela Pysqyli nella parte di Yvette. Bene tutti gli altri: Matteo Palazzo, Ivan Zerbinati, Alfonso Postiglione, Sarah  Pesca.