“The Mountain”, il teatro sperimentale svela una realtà appiccicosa

“Una montagna di bugie”. Quante volte abbiamo usato questa immagine, leggendo i giornali, guardando la televisione o scorrendo le notizie su Facebook o sugli altri social? “The Mountain”, in scena il 29 e il 30 aprile al Teatro Ivo Chiesa per il cartellone del Nazionale, purtroppo per due sole serate, ribalta l’usata metafora: la montagna, qui, è la verità. E, lungi dall’essere solida roccia, è in realtà fragile e friabile, un terreno “scivoloso e appiccicoso”, come una torta grondante zuccheri, che può generare repulsione, ma alla fine è piacevole da gustare.

Sarà lo spirito del tempo, saranno le antenne di cui sono per fortuna ancora dotati gli artisti – soltanto loro, verrebbe da dire – ma il lavoro della compagnia catalana Agrupación Señor Serrano arriva dritto là dove, probabilmente, si propone di arrivare. Ovvero, a seppellire sotto una valanga di neve artificiale l’idea di “purezza e chiarezza” che in genere associamo alla verità, per andare a individuare dove nascono le bugie. Così, come dal letame nascono i fiori, la falsità sboccia da uno dei sentimenti migliori dell’animo umano, cioè la fiducia. È lì, nell’abbandono, nella sospensione totale dell’incredulità dovuta, appunto, alla credibilità di una testata o di una persona, che ha inizio la tragedia del credere vero ciò che è falso.

Una scena che racconta

La pièce ha inizio a sipario aperto, con i quattro attori – Anna Pérez Moya, Àlex Serrano, Pau Palacios e David Muñiz – impegnati ad alternarsi in una partita di badminton senza vinti né vincitori, con uno schermo bianco a sostituire la rete. Le luci verde smeraldo permettono di intravedere, senza realmente distinguere, ciò che c’è sul palco: tre grandi schermi, uno quadrato, altri due rettangolari – due grandi tavoli di acciaio ingombri di apparecchiature elettroniche, un tavolino più basso sul quale si intuiscono delle sagome. Lasciarsi ipnotizzare dal volano che silenziosamente rimbalza sulle racchette fa già parte dello spettacolo. Perciò, cullati da quella forma di abbandono, si aderisce volentieri al patto che Anna Pérez Moya propone al pubblico. Vuole che crediamo due cose, entrambe false: che lei stia giocando a baseball, non a badminton, e che lei sia nient’altro che Vladimir Putin.

Ecco, qui, lo zeitgeist, del quale eravamo parzialmente avvertiti, perché la compagnia comunica di aver scelto di non cambiare lo spettacolo, che debuttò nel 2020, dopo “l’aggressione” del governo russo all’Ucraina. Ma è impossibile pensare a una semplice coincidenza. Così, mentre la maschera virtuale del leader russo si materializza davanti a noi, mentre i suoi occhi azzurri continuano a non tradire alcun sentimento, scopriamo il fine ultimo dello spettacolo: parlare della verità, scalarla con la forza delle mani, scoprire che non è “pure and clear”, ma avvolta nella nebbia.

La sospensione dell’incredulità

Oltre a credere che Putin sia una valente attrice catalana, dobbiamo prendere per buone altre cose: che la neve spruzzata su un corpo riverso bocconi su una roccia di cartapesta sia davvero quella che ricoprì Charles Mallory, autore della prima scalata all’Everest, dall’esito tutt’ora incerto; e che, come 32 milioni di americani, i marziani siano davvero sbarcati in una placida cittadina del New Jersey, come raccontato da Orson Welles nella trasmissione radiofonica “La guerra dei mondi”. Le prove per poter credere a tutto questo sono fornite da una realtà fittizia messa in scena davanti ai nostri occhi e raccontata in tempo reale attraverso le immagini di una videocamera, con il supporto di diorami e plastici. Così sembra davvero di essere sull’Everest a leggere le lettere che Ruth scriveva all’amato marito Mallory. Lettere in cui si spalanca la porta alla filosofia, a quel Platone che forse non è mai uscito dalla caverna, perché, se mai lo avesse fatto, si sarebbe trovato davanti al mare opaco di una realtà “incantevole e vaga”.

Con gli attori di Agrupación Señor Serrano entriamo dentro quella realtà, facciamo un processo alle intenzioni. Di Welles, innanzitutto – era in buona fede o no, quando terrorizzò i suoi connazionali attraverso una trasmissione radiofonica? – ma anche, e soprattutto, dei dominatori del nostro tempo. Così, una volta svelato il meccanismo delle fake news, una volta poste al nostro animo domande inquietanti che non lasciano indenni nemmeno il concetto di noi stessi e quello dei nostri amici, Putin ci invita a sederci con lui e ad assistere, sorseggiando una vodka, al crollo della montagna, ovvero della verità. E ci spinge a tuffare le dita come bambini golosi nella smokva (смоква), il dolce di prugne “appiccicoso e appetitoso” che da piccolo detestava e che invece, ora, gli riempie il cuore e le labbra.

Basterebbero le lettere di Ruth, lette con passione da Amelia Larkins, a valere il prezzo del biglietto. Ma in “The Mountain” c’è molto altro. Dopo i meritati applausi, si torna a casa non certo sollevati, ma con la sensazione di aver assistito a uno spettacolo necessario. Qualunque cosa voglia dire per noi.