“Come gli uccelli”: Mouawad racconta un dramma di tragica attualità

Una bomba nel cuore; si possono condensare così, prendendo a prestito il titolo di un libro del suo autore Wajdi Mouawad, le emozioni potenti suscitate da “Come gli uccelli”, in scena al Modena di Sampierdarena fino al 14 gennaio.

 Prodotto da Teatro Nazionale di Genova, A.M.A. Factory, T.P.,E. , Elsinore su un progetto di “Mulino d’Amleto”, lo spettacolo affonda lo sguardo nell’odio e, inevitabilmente in questo momento, nel conflitto allargato israeliano- palestinese, proponendo speranza o il miraggio di una riconciliazione che è non è mai “di maniera”.

Potrebbe sembrarlo, proprio in primissima battuta,  la scena d’avvio. Il colpo di fulmine, scoccato in una biblioteca di New York , tra Etan, giovane biologo di origine israeliana e  la coetanea araba Wahida , impegnata nelle ricerche su un filosofo Musulmano che entra in contatto con  il Cristianesimo  nel tardo Medioevo,  è tenuto volutamente un po’ sopra le righe anche sul piano della recitazione ma si fluidifica nell’impatto con una realtà che non è più quella ovattata degli studi. E la love story, il richiamo a Romeo e Giulietta già declinato in diverse varianti dai tempi di Shakespeare fino  nostri giorni al cinema e in teatro, cede il passo al tema dell’ identità, esplorato in diverse dinamiche familiari e sociali. I tormenti, i sensi di colpa, i rancori ereditati dai secoli si riflettono in “scene da un matrimonio” che passano da una generazione all’altra e rimbalzano tra diversi continenti.

I due  affrontano un viaggio in Medio Oriente e Etan , che aveva già presentato Wahida ai genitori in un devastante incontro di famiglia,  mentre sta attraversando l’Allenby Bridge al confine tra Israele e la Giordania,  è ferito in un attentato. Intorno al letto dell’ospedale dove è stato ricoverato  in coma, come decine di altre vittime, si stringono i nodi conflittuali che erano già venuti allo scoperto intorno tavolo della sua casa paterna . L’acme del dolore coincide con il loro scioglimento  la scoperta di un mistero taciuto per anni che, se non regala nessuna tregua alla guerra, pacifica  i personaggi di questa tragedia contemporanea con se stessi e con il proprio vissuto. Un primo passo?Certamente una speranza di comprensione  che la cosiddetta verità teatrale rende possibile tra i fallimenti della Storia e della politica.

La regia di Marco Lorenzi, superata qualche quasi impercettibile lentezza,  amalgama un impianto che il drammaturgo franco libanese ha costruito su coordinate tanto avvincenti  quanto impegnative. Senza difficoltà, sul filo sempre teso di un coinvolgimento che non cede a patetismi e preconcetti ideologici, lo spettatore assorbe le vertigini e le improvvise scosse di una continua altalena spazio temporale, in un flusso corale di coscienze.

Wajdi Mouawad in realtà si muove dentro una mappa drammaturgica rigorosa , (prologo, svolgimento , suspence psicologica e scioglimento) sviluppata attraverso un gioco preciso di corrispondenze ma lascia alla regia il compito di farla apparire tutt’altro che didascalica. In questo potente realismo “sfumato”,  dove la vita qualche volta può essere anche sogno, l’ingresso   in scena dell’antico  filosofo  che Wahida sta studiando e che, inconsapevolmente , ha dato via sia all’amore dei due giovani sia al confronto scontro tra civiltà, ha una sua accattivante naturalezza. Gli attori Aleksandr Cvjetovic, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri, Rebecca Rossetti affrontano i personaggi con un’interpretazione a volte rabbiosa, a volte compressa, sempre superba. Qualche innesto in lingue diverse, frasi arabe ebree tedesche supportate dalla traduzione, comunica  l’idea di distanze superabili, sia pure con difficoltà, anche sull’onda di musicalità diverse.