Il destino ci riserva colpi di genio teatrale. Il caso più sorprendente, fin dalle prime pedalate di Laura Curino in “Alfonsina Alfonsina”, in prima nazionale al Duse di Genova per il Festival dell’Eccellenzalfemminile, ha anche una buona dose di ironia.
Alfonsina Neri gli va incontro nel 1924 ingaggiando una battaglia nella quale, alla fine, ha la meglio su un palcoscenico che non aveva mai visto nessuna donna in gara : il Giro d’Italia. Gli organizzatori la reclutano quando ha appena compiuto trentatré anni si è già guadagnata una certa notorietà a Fossamarcia, nella campagna bolognese alternando le sue prestazioni atletiche al lavoro di sarta per mantenere al manicomio il marito e pagare gli studi a una nipote. Sperano che, in un’Italia reduce dalla prima Guerra mondiale e in cerca di una nuova unità anche grazie alla comunicazione radiofonica, la sua partecipazione faccia notizia, dia un po’ di pepe mediatico a un’edizione carente di star dopo la defezione di Girardengo.
Sta di fatto che, “ciliegina sulla torta”, nel bel mezzo della tappa L’Aquila-Perugia, alla bici della “ciclista fenomeno” si rompe il manubrio. Lei è abituata a non perdersi d’animo. Con l’aiuto dello staff e di alcuni spettatori riesce a ripararla con un manico di scopa. E, anche se non riesce a piazzarsi ai primi posti, ricomincia a volare. Le cronache non dicono se l’arrivo sia stato accompagnato da cori anticipatori di uno slogan in auge anni più tardi, “tremate tremate le streghe son tornate” come di fronte a uno dei primi e certamente inconsueto esempio di femminismo Comunque, niente di meglio da cavalcare per un’interprete che, da sempre, sa dosare epica e ironia in un fluido magico.
Lo spettacolo, coprodotto da Schegge del Mediterrraneo e dal Contato del Canavese, adattato dalla stessa interprete partendo dal testo di Andrea Nicolini “Il diavolo in gonnella” e diretto da Consuelo Barilari, è una full immersion nell’avventura pubblica e privata di una ragazza proiettata verso un sogno di libertà dallo sport, ignara delle ideologie che altre donne su diversi scenari stanno inseguendo ma spinta da un’indomabile passione..
In una cornice al tempo stesso realistica e simbolica, tra filmati d’epoca e pannelli che scandiscono lo spazio del palco, la ricostruzione della famosa bicicletta di Marcel Duchamp , si contestualizza e recupera in pieno il suo status di oggetto iconico, capace di irradiare tante anime del Novecento. La protagonista fa girare vorticosamente la sua ruota e, mentre spende energia, non perde ritmo nel raccontare e lasciar intuire le critiche feroci che si abbattono su Alfonsina, ma anche, da parte delle donne, un tifo che si salda sull’identificazione.
Se nella storia artistica di Laura Curino c’è soprattutto uno straordinario percorso di affabulatrice, “Alfonsina” ce la propone anche come grande tessitrice di dialoghi giocati sulla continua metamorfosi della sua voce: in un canto di emozioni che plasma altri personaggi intorno alla ciclista, viene prestata alle aperture confidenziali della madre, all’inutile tentativo del padre di fermare la sua corsa , ai commenti non sempre benevoli di chi le sta intorno.
Un applauso un più per la sapienza che sfuma gli accenti padani con discrezione e per il piccolo grande segreto che svela alla fine: è sua , sapientemente deformata dai tecnici fuori campo, anche la voce dei cronisti “d’ epoca” che consegnano la sua fatica alla storia. Sull’onda delle emozioni che hanno accompagnato il debutto di Genova, Laura Curino confessa che ora il suo sogno sarebbe portare lo spettacolo in qualche tappa del prossimo Giro. Merita di riuscirci.