Filosofia dell’ arte in Nietzsche e Wagner – parte prima

Le basi filosofiche dell’arte in Nietzsche

Bertrand Russell nella sezione dedicata a Nietzsche della  Storia della Filosofia Occidentale scrive: “Aveva un’appassionata ammirazione per Wagner, ma litigò con lui, si disse a causa del Parsifal che Nietzsche considerava troppo cristiano e pieno di rinuncia.”

Russell se la cava con poco. Parsifal fu una delle tante schegge di un’esplosione di astio  di Nietzsche, che Wagner non si aspettava e che non riuscì mai a capire del tutto. Per il filosofo fu invece il coronamento di un percorso interiore contorto e di abissale profondità che coinvolse tutto il suo mondo, un mondo che comprendeva anche, forse soprattutto, l’arte, in particolare la musica e il teatro, la tragedia. Il primo scritto di rilievo del giovane Nietzsche fu appunto La nascita della tragedia dallo spirito della musica, riferito alla tragedia attica e alle opere di Wagner a cui dedicò la prefazione e nel quale vedeva una reincarnazione di Eschilo.

Nietzsche aveva un concetto greco di arte, conosceva perfettamente  il greco antico, i filosofi preplatonici e anche Platone, conosceva la musica,  ne era discreto compositore e ottimo esecutore, ma soprattutto sapeva che cosa è la filosofia. Questo sapere è raro. Solo i grandi pensatori lo posseggono. Ricordiamo inoltre che Nietzsche nasce come filologo e, specialmente a quei tempi, la filosofia  poteva attingere molto dalla filologia, (come del resto accade ancora adesso, anche se, al giorno d’oggi, affiancata dalla scienza). La nascita della tragedia era un saggio filologico, ma non fu apprezzato dai filologi dell’epoca, forse perchè, in realtà, era un’opera di filosofia dell’arte. Oltre ai greci, a cui sempre il suo pensiero si riferì, per il giovane Nietzsche le forze spiritualmente determinanti fra i contemporanei  furono  Schopenhauer per la filosofia  e Wagner per l’arte. Anche per Wagner il vate  filosofico fu Schopenhauer (per il quale la musica era espressione  pura della Volontà), almeno fino al soggiorno a Sorrento dopo il primo Festival di Bayreuth.

I capisaldi della filosofia di Nietzsche si possono riassumere in:

 1) il concetto, nell’arte, di  apollineo e dionisiaco

 2) l’eterno ritorno

 3) la transvalutazione dei valori

 4) la morte di dio

 5) il superuomo (oltreuomo)

 6) la volontà di potenza

I suddetti temi sono collegati, tuttavia il concetto di arte si accosta principalmente alla volontà di potenza e alla morte di dio. Occorre ricordarne brevemente i tratti essenziali. Nietzsche sancisce la fine della metafisica occidentale (che si fonda su Platone) e pone  una domanda del tutto nuova sulle cose (enti) e l’essere. L’espressione “volontà di potenza” si riferisce alla domanda “che  cosa è l’ente?” che è fin dai tempi antichi la domanda della filosofia. La domanda “che cosa è l’ente ?” cerca l’essere dell’ente ( é, ente). Tutto l’essere è per Nietzsche un divenire al punto che col concetto di eterno ritorno si propone, fra l’altro, di dare al divenire la configurazione dell’essere.

In sintesi in filosofia esistono tre domande: una domanda preliminare (che cosa è la verità), una domanda-guida (che cosa è l’ente?) e una domanda fondamentale (che cosa è l’essere?). La domanda sull’essenza dell’essere (che nella sua stessa essenza è tautologica) fa sì che non rimanga più nulla  all’infuori di tale domanda,  e ciò significa aprire le porte al nichilismo. Tutto questo Nietzsche lo sapeva e fu il primo a saperlo nella storia della filosofia occidentale. Dal nulla (nihil) egli aprì una porta inaudita (mai udita prima) ai pensatori che lo seguirono, anche perchè l’ente è sempre più indagabile ed indagato dalla scienza che può dare e darà risposte a tutto, tranne che all’essere dell’ente e al niente (perchè l’ente e non il niente?).

Secondo l’opinione corrente, Nietzsche è un rivoluzionario che nega, distrugge e profetizza. Tuttavia ciò fa parte  di un’intima necessità della sua epoca. La grande crisi dell’Ottocento, in sintesi, sta tutta qui e si esprime con la nascita del nichilismo, negazione di tutto ciò che prima aveva valore. Nel secondo libro  della Volontà di Potenza c’è la premessa ad una critica dei valori supremi fino ad allora in vigore. Per tali valori si intendono la religione e precisamente quella cristiana, la morale e la filosofia. Religione, morale e filosofia non sono esse stesse i valori supremi, ma i modi fondamentali di porre ed imporre i valori supremi (che sono gli ideali, che Nietzsche chiama idoli, le idee di matrice  platonica).  Nichilismo significa che i valori supremi si svalutano fino a scomparire. Ciò significa: quelle che nel cristianesimo, nella morale a cominciare dalla tarda antichità e nella filosofia da Platone in poi, furono poste come le realtà e le leggi determinanti, perdono la loro forza vincolante. Il procedere di Nietzsche, il suo modo di pensare alla nuova posizione di valori, è un costante rovesciare. Essenzialmente la sua filosofia è un rovesciamento del platonismo. Per esempio, alla domanda che cosa è la verità? (domanda preliminare della filosofia)  Nietzsche  risponde: “… la verità è la specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi [l’uomo] non potrebbe vivere.” Verità, nel suo modo di pensare, non significa necessariamente il contrario dell’errore, ma, nei casi più tipici, soltanto una disposizione di diversi errori l’uno rispetto all’altro (mettere ordine fra gli errori). Mentre la Volontà per Schopenhauer è volontà di vita, per Nietzsche lo è di potenza.  La volontà è in sé stessa potenza  e la potenza, volontà. Ciò che l’uomo vuole, ma non solo l’uomo, ma anche  ogni minima particella di un organismo vivente, è un di più di potenza.  “Prendiamo il caso più semplice – dice Nietzsche – quello del nutrimento primitivo; il protoplasma allunga i suoi pseudopodi per cercare qualcosa che gli si opponga – non per fame, ma per volontà di potenza. Poi fa il tentativo di vincerlo, di assimilarlo, di incorporarselo: ciò che si chiama “nutrimento” è solo un fenomeno conseguente, un’applicazione particolare di quella volontà originaria di diventare più forte.” (assimilare enti). Per chiarirlo in breve: la vita non ha soltanto l’impulso dell’autoconservazione, come sosteneva Schopenhauer e ritiene Darwin, ma è autoaffermazione. Decisivo non è il produrre nel senso dell’approntare, ma il fare venir fuori e il trasformare. Per questo del creare fa essenzialmente parte il  distruggere. Trasformare è distruggere quello che c’era, per farlo diventare qualcosa di altro. Un “no” che è potenza. ( curiosamente e casualmente presente anche nel suo nome: Niet-zsche). Come si filosofa col martello (sottotitolo de Il crepuscolo degli idoli).

Ora l’arte è la forma più trasparente e più nota della volontà di potenza: essa crea; trasforma l’ente in immagine (o comunque in rappresentazione [ri-presentazione]). L’arte è  l’autentico compito della vita. L’arte vale  più della “verità”. Il vero, il bene e il bello sono oggetto rispettivamente della logica, dell’etica e dell’estetica. L’estetica comincia presso i Greci soltanto nel momento in cui la grande arte (l’epos omerico e la tragedia attica) si approssima alla fine. In questo periodo, di Platone e di Aristotele,  vengono coniati quei concetti fondamentali dell’arte. Si tratta anzitutto della copia di concetti  materia -forma.  Si unisce ad essi un secondo concetto che diventa   una guida per ogni posizione sull’arte: l’arte diventa  tekne. Per cogliere la tekne nel suo vero significato, è bene stabilire il suo esatto  contrario nominato nella parola fusis tradotta, senza troppo pensarci, in “natura”. L’arte  dunque come attività metafisica (dopo la fisica, oltre la natura). La  religione, la morale e la  filosofia sono metafisica decadente, forme di decadence dell’uomo.  Il contromovimento è  l’arte che in questo modo si oppone al nichilismo attraverso la volontà di potenza.