Filosofia dell’ arte in Nietzsche e Wagner – parte seconda

L’avvento di Wagner

Nel XIX secolo compare sulla scena dell’arte Wagner il quale  osa compiere ancora una volta  (dopo il periodo classico della tragedia) il tentativo di creare l’opera d’arte totale.   Già il nome è significativo. Le arti non devono più essere realizzate una accanto all’altra, ma devono essere congiunte in una sola opera. L’opera d’arte deve essere “la religione”, (cioè che relige, lega, unisce) la celebrazione dell’unità, per esempio di un popolo; per Wagner il popolo tedesco. Le arti determinanti sono qui la poesia e la musica.

Intorno al loro rapporto c’è una vecchia questione che si trascina sin dalla nascita del melodramma: deve essere la musica al servizio della poesia (lo sostenevano i creatori dell’opera, la Camerata Bardi fiorentina) o al contrario la poesia al servizio della musica (fra i principali sostenitori di questa tesi, Mozart). Wagner, musicista e letterato, risolve la diatriba in maniera rivoluzionaria: nessuna delle due prevale sull’altra perché entrambe sono al servizio del dramma inteso come azione. Sembra una sottigliezza eppure è una posizione fondamentale perché da lì discendono quelle “innovazioni” strutturali, formali che segnano la svolta del teatro wagneriano in relazione a quello francese e a quello italiano.

Il dramma ha il suo peso  e la sua essenza non nell’originalità poetica, ma nella dimensione scenica e nella grandiosa coreografia. L’architettura è considerata  costruzione di teatri, la pittura scenografia, l’arte plastica la gestualità dell’attore. In altre parole: l’arte deve ridiventare, ancora una volta, un  assoluto. Ma l’assoluto viene ormai esperito soltanto come il puro indeterminato (come l’apeiron di Anassimandro), la completa dissoluzione del sentimento puro, il fluttuare sprofondando nel nulla.

Fu tutto ciò che deriva dall’ebbrezza a fare si che l’uomo Wagner e la sua opera incantassero il giovane Nietzsche, con ciò che  chiamò “il Dionisiaco”. Ma mentre Wagner cercava la mera esaltazione del dionisiaco, Nietzsche mirava a domarlo e a dargli forma, riconducendosi ancora all’Epos omerico, dove la forma era il limite che definisce la potenza dell’eroe, oltre la quale sta l’ubris, la prepotenza che contiene il seme della disfatta.

Alla fine la principale opposizione di Nietzsche a Wagner riguardò due cose:

Primo: lo sprezzo in Wagner del sentimento intimo. In Wagner si tratta di “fluttuare e fluire” anzichè di “camminare e danzare” (cioè  vaghezza anzichè misura e cadenza, in una parola, forma).

Secondo: lo slittare in un cristianesimo moralista ed ipocrita, frammisto ad ardore e delirio (ove delirio appunto sta per sconfinamento, come  il significato etimologico). E poi ancora che il  cristianesimo e la chiesa diventano  essenziali più sul piano politico che su quello religioso.  La questione dell’arte in Nietzsche è estetica. Questa estetica deve essere  però fisiologia. Gli stati sentimentali vengano indagati  risalendo fino agli stati corporei loro corrispondenti (Umano troppo umano). Per Nietzsche acciocchè vi sia arte,  un qualche fare e contemplare estetico, è inevitabile una condizione fisiologica preliminare: l’ebbrezza. Essa deve innanzitutto avere potenziato l’eccitabilità dell’intera macchina: altrimenti non si  giunge ad arte alcuna. In primo luogo l’ebbrezza dell’eccitazione sessuale, la forma più  antica e originaria di ebbrezza. Quando  Niezsche dice che  fare  musica, cioè in generale fare arte, è anche un modo di fare figli, si riferisce a quella connotazione dell’ebbrezza secondo cui la sua “forma più antica  e originaria” è “l’ebbrezza sessuale”. Del pari l’ebbrezza che viene a seguito di tutte le grandi  brame, di tutti gli affetti forti; l’ebbrezza della festa, della gara, del virtuosismo, della vittoria, di tutti i momenti estremi; l’ebbrezza della crudeltà; l’ebbrezza della distruzione; l’ebbrezza suscitata da certi influssi metereologici, per esempio l’ebbrezza primaverile; oppure dall’influsso del vino o dei narcotici; infine l’ebbrezza della volontà, talvolta turgida e sovraccarica.  Nella Nascita della tragedia  soltanto il Dionisiaco  ha il carattere dell’ebbrezza, mentre l’Apollineo quello del sogno. Nel Crepuscolo degli idoli l’apollineo e il dionisiaco sono ormai due specie di ebbrezza. Dell’ebbrezza Nietzsche sottolinea il duplice aspetto, le due forze della natura e dell’arte. La loro fusione nell’unità di una forma è la nascita dell’opera d’arte greca suprema: la tragedia.

  L’essenza dell’ebbrezza e della bellezza, dell’andare al-di-là-di-sè per arrivare davanti  a ciò che corrisponde a quello di cui siamo capaci. Il godimento dell’opera consiste nel fatto che essa comunica lo stato  dell’artista che crea. L’artista ha come atteggiamento fondamentale quello di non concedere valore a nessuna cosa che non sappia diventare forma. Nietzsche spiega il “diventare  forma” come un “esporsi”, un “farsi pubblico”, quello per cui l’ente si mostra, il suo aspetto, eidòs, idea, ciò per cui e in cui esso viene fuori, si es-pone, si fa pubblico. Quando Nietzsche parla di ebbrezza la intende, al contrario di Wagner, come la più  sincera espressione di forma. Nietzsche dice: ”E’ un errore pensare che ciò che Wagner ha creato sia una forma; è una mancanza di forma…- e altrove – I giudizi di valore estetici, cioè il trovare bello qualcosa, hanno come “base” i sentimenti che si riferiscono a leggi logiche, aritmetico-geometriche: il piacere dell’ordinato, del perspicuo, del delimitato, della ripetizione.” (la rima e la metrica in poesia; il ritmo nella musica)

 L’espressione “sentimenti logici” vuol dire avere una sensibilità  per lasciarsi predisporre nella propria disposizione d’animo dall’ordine, dal confine, dalla sinossi. I sentimenti logici, il piacere dell’ordinato, del delimitato, non sono altro che i sentimenti di piacere di tutti gli esseri organici in rapporto alla pericolosità della situazione, o alla difficoltà del nutrimento che per i greci diventa l’angoscia del divenire. Ciò che è noto fa bene, la vista di qualcosa di cui si spera di impadronirsi facilmente fa bene e così via. Risulta così la seguente scala dei sentimenti del piacere: al grado più basso quelli derivati dall’imporsi e dall’affermarsi della vita; sopra e al tempo stesso al loro servizio, quelli logici, matematici; questi ultimi come base per quelli estetici. L’arte di Wagner invece “suda”, è un’arte faticosa perchè traboccante, eccedente, non conclusa. Il grande stile, quello che Nietzsche vede nella tragedia attica prima dell’avvento della catarsi socratica, è là dove l’eccedenza si doma nel semplice, nel concluso. La “melodia infinita” di Wagner angoscia Nietzsche. Il più lontano dal grande stile è quindi Wagner, il romantico; le sue intemperanze e il carattere eroico e tronfio dei suoi mezzi artistici sono in diretta antitesi  con il grande stile della tragedia, dove tutto è duplice, ma semplice e nulla redime. L’arte romantica  di Wagner che scaturisce dall’insoddisfazione e dalla privazione, è un volere andare via-da-sè.Ma volere autentico non è un andare-via-da-sè, ma è un al-di-la-di-sè, dove in questo superarsi la volontà prende appunto il volente, lo accoglie in sè e lo  trasforma. Volere andar-via-da-sè è quindi in fondo un non volere.

In antitesi a Wagner, Nietzsche intende nell’arte un sentimento di sviluppo della forza, della pienezza e del mutuo potenziamento di tutte le facoltà, come l’essere al-di-là-di-sè e quindi come il giungere-a-sè  non come cieco dissolversi nel delirio. C’è qui già il germe dell‘oltre uomo, l’uomo che sa vivere senza il mondo ideale (crepuscolo degli idoli) e dunque senza dio. Cosa che Wagner non aveva saputo fare ripiombando, specialmente col Parsifal, in un misticismo mitico e cristianeggiante.

Whitehead scrisse che tutta la filosofia occidentale  poteva essere considerata come una nota a piè pagina della filosofia di Platone. Ma soltanto fino a Nietzsche, il primo che interpretò in pieno il suo secolo e che ebbe la forza di rovesciarla. Wagner espresse nella musica l’ansia di quel rovesciamento. Ma forse non se ne accorse nemmeno.