La filosofia di Jimi Hendrix… Cinquant’anni dopo

Solo un anno fa il Festival di Woodstock spegneva le sue prime cinquanta candeline. E oggi, 18 settembre 2020, celebriamo il cinquantesimo anniversario della scomparsa di una dei suoi indiscussi protagonisti.

La mattina del 18 settembre 1970, Jimi Hendrix fu trovato morto nel suo appartamento londinese, in circostanze ancora non del tutto chiare.

Un altro nome del rock che si univa al “club 27”. Solo poche settimane dopo alla triste lista si unirà anche la collega Janis Joplin.

Un anno maledetto per la storia del rock, che lascia l’amaro in bocca, portandosi via uno dei suoi talenti più straordinari.

Il chitarrista mancino di Seattle, paragonato, per virtuosismi e temperamento, persino al grande Niccolò Paganini, non ha lasciato spazio ai posteri e, ad oggi, è indubbiamente simbolo non solo di un’epoca, ma di un intero mondo, quello della chitarra elettrica.

A celebrarlo in modo insolito e approfondito, un interessante volume di Alberto Rezzi, La filosofia di Jimi Hendrix. Viaggio al termine del mondo (Mimesis Edizioni).

Un viaggio nel panorama hendrixiano, partendo dall’infanzia difficile, per addentrarsi nella poetica dell’artista, nei suoi lati più spirituali e visionari. Scopriamo un Hendrix filosofo, “costruttore di mondi”, con curiosi parallelismi con celebri pensatori quali Empedocle e Giordano Bruno. Ma anche un Hendrix artista, quando la sua “pittura sonora” viene accostata all’action painting di Jackson Pollock, per “l’uso ritmico del colore” messo in atto dal pittore e l’approccio istintivo del chitarrista nel suo processo creativo.

Non mancano riferimenti a Monterey e Woodstock, luoghi della sua consacrazione, ed un’interessante analisi della celebre The Star Spangled Banner, una delle sue performance più note e significative.

Un volume ricco, che invita a riascoltare discografia dell’artista con orecchio più attento, cogliendone sfumature e atmosfere. Una lettura scorrevole e psichedelica.