“Lo spartito del mondo” secondo Giovanni Bietti

Fino a che punto l’arte dei suoni è un linguaggio universale? Per rispondere a questa domanda il compositore, pianista e musicologo Giovanni Bietti ha girovagato tra gli ultimi 500 anni e svariati stili o notazioni musicali.

Ne è scaturito “Lo spartito del mondo. Breve storia del dialogo tra culture in musica” oggi in Economica Laterza. Facile immaginare il punto di partenza dai mottetti all’intero comparto della musica liturgica; meno intuitivi e quindi preziosi gli approfondimenti sulle opere di Orlando di Lasso tratteggiato anche quale “fenomeno editoriale internazionale”, capace persino di gettare le basi per il moderno concetto di diritto d’autore.

Tra i punti di forza la raccolta di diversi balli europei che spalancano lo sguardo su corrispondenze poche note, ad esempio la celebre danza lenta del Seicento “Sarabanda” e la sua possibile antenata “Zarabanda”, nome bantu. Non ci si ferma mai al precostituito, anche quando si tratti di ricostruzioni musicologiche complesse e raffinate. La “Suite” non si esaurisce al massimo splendore con Bach, per essere accantonata nei secoli successivi ad esercizio stilistico, ma risorge dagli ultimissimi anni dell’Ottocento fino all’apoteosi del dopoguerra  dalle due Suites per piccola orchestra di Stravinskij alla Suite lirica di Berg, fino alle Suites di Duke Ellington. Se già qui è evidente la capacità di mutare, di fondere gli stili, basti citare esempi quali il Concerto (che già etimologicamente rimanda a “cum-certare” e che Bietti ben riassume in “gara musicale”) o, perché no, la Tarantella dal motivo popolare di danza della guarigione al Finale della Sonata Op.47 di Beethoven o alla sorprendente miscela di gusti e geografie della Tarantelle Styrienne di Debussy. Dal particolare all’universale e viceversa, andata e ritorno per diventare davvero lingua di tutti.

Senza svelare troppo e togliere il gusto della lettura, in particolare del capitolo “Africa, Europa, America (e ritorno)” vale la pena riportare una verità fondamentale da cui discendono parecchi ragionamenti nel testo: “L’idea della musica come linguaggio universale -scrive Bietti- in grado di far parlare tra loro popoli e culture lontani nasce nella seconda metà del Settecento”. Formidabili esempi la Nona di Beethoven (“la volontà beethoveniana di gridare, in un momento di grave difficoltà politica e personale – le lettere del compositore lo testimoniano in modo chiarissimo- che tutti gli uomini saranno fratelli assume un valore straordinario e lancia un messaggio universale”, continua l’autore).  Ancor più piacevole, per chi non ne fosse conoscenza, approfondire le opere, proprio nel 250esimo anniversario dalla nascita, di questo gigante della musica, tra cui le sue rielaborazioni di oltre 170 canti popolari di tutta Europa stimolati da George Thomson. Nel catalogo beethoveniano, come riporta Bietti, c’è anche tra le melodie veneziane la Biondina in gondoleta! e una Siciliana.

La sfilata di generi e di stili è lunga e appassionante: si arriva sino alla world music, con una ricca bibliografia e tante chicche. Dalle ultime pagine resta su tutto una chiara filosofia musicale: l’auspicio di “arrivare dal dialogo alla comprensione, dalla contaminazione all’integrazione e , soprattutto, dall’emozione alla conoscenza”.