Lutto nel mondo del teatro. E’ morto Carlo Repetti, uno dei maggiori protagonisti della cultura genovese di questi ultimi decenni. Uomo di teatro, personalità politica irreprensibile e capace, un intellettuale serio che ha saputo gestire il Teatro Stabile con rigore e scrupolosa attenzione, ma anche con generosità, nel rispetto delle professionalità di tutti. Una grande famiglia, con lui, al servizio della cultura del territorio.
“Ho perso un grande amico – ha dichiarato Marco Sciaccaluga – Carlo ha dedicato la sua vita alla famiglia e ha amato molto la sua città mettendosi al suo servizio come politico e come direttore del teatro. Considero i quindici anni della sua direzione, una delle pagine più belle della storia del nostro teatro”.
Settantatre anni, Repetti era entrato giovanissimo, agli inizi degli anni Settanta, allo Stabile come responsabile dell’ufficio stampa e dell’ufficio cultura. Negli anni Novanta, Chiesa, con l’intento di preparare la strada alla sua successione, nominò vicedirettori Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga e nel 2000 Repetti diventava così direttore, affiancato da Sciaccaluga nel ruolo di condirettore e regista principale.
In precedenza, Repetti, in due diversi momenti, aveva “abbandonato” il suo teatro per rispondere a una chiamata politica: assessore comunale alla cultura prima nella Giunta di Burlando (1990-1993) poi in quella di Pericu (1997-2000). Sono anni fondamentali per la rinascita culturale di Genova e Repetti riveste un ruolo centrale, creando, tra l’altro, la Film Commission.
Al Teatro Repetti ha garantito una solidità interna importante puntando alla formazione di una compagnia di giovani uniti dalla comune provenienza dalla Scuola di recitazione del Teatro stesso di cui era stato in precedenza direttore.
Scuola che ha visto fiorire i talenti di numerosissimi attori e attrici di rilievo in questi ultimi anni: basta ricordare Alberto Giusta, Alice Arcuri, Lisa Galantini, Maurizio Lastrico, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Jurij Ferrini, Mariella Speranza, Roberto Alinghieri, Aldo Ottobrino. Si vantava, a ragione, Repetti di poter mettere in scena una compagnia coesa, solida, con radici comuni. Accanto ai giovani, i grandi attori, garanzia di una qualità ineccepibile. Repetti ha puntato su Eros Pagni, uno dei più grandi interpreti del nostro teatro, presenza fissa nelle stagioni genovesi, ma ha avuto rapporti stretti anche con Mariangela Melato destinata a ricoprire il ruolo di “primadonna” che era stato in passato di Lina Volonghi. E non si possono dimenticare neppure Gabriele Lavia e Vittorio Franceschi.
Un Teatro che con lui ha allacciato sempre più contatti con palcoscenici e artisti d’oltr’alpe, un’operazione culminata nel 2004 nella grande stagione europea.
Insignito della onorificenza francese della Legion d’onore per meriti culturali, Repetti credeva fermamente nel “teatro necessario”. E questo lo portava a indagare il passato, ma anche a cercare continuamente nel presente autori da portare sulla scena. Da qui l’idea delle rassegne di drammaturgia contemporanea che negli anni hanno rivelato al pubblico autori di sicuro interesse. E poi i cicli delle grandi letture, un modo per riflettere sulla storia dell’uomo e fare del Teatro un luogo d’incontro non convenzionale: pensiamo al ciclo sulla “Divina commedia” o a quello sui “Grandi discorsi”, iniziative per le quali si avvaleva della collaborazione preziosa di Aldo Viganò.
Infine, il suo ruolo di drammaturgo. Per lo Stabile negli anni Ottanta aveva scritto e messo in scena
“La stagione e il silenzio” (1986), “Genova 1746” (1981); “Borges, autoritratto del mondo” (1984) e “Inverni (1988)” da Silvio D’Arzo, diretti da Marco Sciaccaluga e interpretati da Ferruccio De Ceresa e Elsa Albani.
E dopo il pensionamento aveva ripreso la penna in mano per dedicarsi al romanzo: risale al 2015 per Einaudi “Insolita storia di una vita normale”.
Negli ultimi tempi aveva fatto parte del Consiglio d’amministrazione del Teatro nazionale da cui si era dimesso polemicamente in contrasto con le modalità che avevano portato alla nomina del nuovo direttore Davide Livermore.
In chiusura un ricordo personale, tratto dai tanti incontri professionali che ho avuto il piacere intrattenere con Repetti nel corso della sua e della mia carriera. Intervistandolo all’inizio di una nuova stagione di teatro, era il 2011, mi disse: “In un momento di difficoltà come questo credo che gli strumenti, i meccanismi che si ritrovano nelle grandi opere teatrali dovrebbero essere le ultime cose a cadere in una società civile. Per questo lanciamo quel provocatorio appello: lasciateci la possibilità di emozionarci”.