Le radici delle riflessioni che seguono sono in un fremito che ebbi, più di dieci anni fa, davanti alla salma di mio padre. Lo osservavo composto sul letto di un ospedale; sembrava che dormisse, come chiunque muoia senza traumi o senza un lungo tramite di sofferenze. Sembrava come lo avevo visto il giorno prima, quando mi salutò, normalmente. Ma non lo era; era inerte, non più vivo. Fu a quel punto che ebbi il fremito. Qual era la differenza fra quel momento e ieri? Il suo corpo appariva uguale in tutto a poche ore prima. Ricordo che mi domandai che cosa fosse la morte. Nessuno la vede; solo il corpo prima e il corpo dopo.
Che cosa rende quel corpo diverso?
Alla filosofia interessano le domande. Le risposte le danno i miti e la scienza. Quello che mi risposi non ha quindi importanza in questo contesto. Fra le domande la principale è proprio quella sulla morte . Gli uomini si accorgono della morte, anche se non la vedono e se ne stupiscono. Intuiscono che qualcosa sembra essere andato via da un corpo. Che cosa sia andato e dove, non si sa. Essi però sentono, o credono di sentire, o credono, di essere anche quel qualcosa che è partito, non soltanto il corpo inerte che è rimasto. Vedono la fine della commedia come un esito, l’ ex-itus; l’uscita. Vedono qualcosa che finisce e sperano che ci sia qualcos’altro che esce, ma continua ad esistere da qualche parte; e lo sperano con tanta forza da arrivare a crederci. Gli uomini inoltre credono più volentieri a quello che è antico, a quello che si ripete: è così perché si è sempre creduto così, fatto così. Solo gli uomini seppelliscono i loro morti, o ne celebrano la dipartita (dipartita?) con rituali ben definiti. La cultura nasce da li. Sulle tombe sono le prime iscrizioni dell’umanità. Da quei riti però deriva una cascata di eventi addirittura cosmica. Gli esseri umani hanno il senso del tempo; sono animali storici. Si domandano l’origine di tutto, ma principalmente si interessano all’esito di qualsiasi evento, cioè alla sua fine. Vogliono sapere come andrà a finire perché si sono accorti che c’è una fine che è la morte. Su quel termine creano uno scenario, concepiscono la prima rappresentazione; rappresentarsi l’esito, vederlo, prepararlo. Ecco, gli uomini non si accontentano di subire gli accadimenti come gli altri animali, ma incominciano a voler fare accadere. Vedono che il cadavere è inerte, non si muove più. In-erte significa che non ha arte, perché arte significa azione, movimento. Da ciò la sottile convinzione che noi abbiamo un corpo, come se il noi , il me, l’io, fosse qualcosa distinto dal corpo, al punto che noi il corpo lo abbiamo, mentre l’animale è il suo corpo. Ed ecco allora che l’uomo è attore nel suo corpo e il mondo diventa palcoscenico e la vita teatro. L’animale è soggetto al corpo, non è soggetto delcorpo. L’uomo è un soggetto sul corpo e lo fa agire. L’animale è un corpo che re-agisce. L’uomo sul corpo si sente in qualche modo ospite attivo, si sente attore (che agisce) attraverso un corpo, ma di essere oltre il corpo. Sente un dentro e un fuori. Un sé e un non sé. L’uomo agisce (transitivo) il suo corpo su una scena, su un’idea, su un pensiero, su una musica, su un testo. E il testo è , a sua volta, un’idea o un’intenzione: la impara e la recita (ri-cita, cita di nuovo). Sente la necessità di creare un modello e di seguirlo. Gli esseri umani non hanno soltanto stimoli all’azione come gli animali, ma creano modelli su cui plasmare l’azione. Ed ecco allora che, ai primordi, l’uomo anima, per analogia con sé stesso, tutta la natura, tutto ciò che esiste e accade. La pioggia, le montagne, il mare, tutto diventa altro, scenografia di un mondo che parla all’attore e ai suoi comprimari. Siamo entrati in una prima sapienza che nasce da questa immagine ideale, da una veggenza che è parente molto stretta delle idee di Platone. Il mondo si configura come una grande rappresentazione di idee. I graffiti sulle pareti delle caverne del neolitico sono la testimonianza di rappresentazioni di caccia, scenografie di eventi che si vogliono far accadere. Non sono soltanto attività, diventano la scena del mondo. Intorno alle incisure rupestri si celebrano canti e danze. Si recitano storie e miti. Arte figurativa, musica, danza, poesia: c’è tutta l’essenza dell’arte piena, come quella propugnata da Wagner in “L’opera d’arte dell’avvenire”. Per Wagner era avvenire. Per gli esseri umani è sempre stata, per lo meno così è nata. Se, come dice Emanuele Severino, “la filosofia nasce grande”, l’arte nasce totale, ossia apre lo spazio in cui vengono a muoversi tutte le arti singole e, alla fine, il comportamento stesso degli uomini. Di questa arte totale Wagner non ha avuto la paternità, ma ne ha intuito e stigmatizzato l’essenza, raccogliendone lo spirito dal mito.
Il mondo per l’animale è un ambiente a cui reagire . Per l’uomo una grande scenografia piena di attori, un palcoscenico in cui plasma a modo suo la realtà, recitando tanti ruoli con la maschera del corpo che si fa persona . Tutti gli eventi diventano interpreti in questa scenografia, in questo vero e proprio teatro che è fare accadere. Il nostro stesso corpo diventa palcoscenico; soltanto noi lo dipingiamo, lo trucchiamo, lo pettiniamo, lo vestiamo, per adattarlo alla commedia in atto. Ma ancora prima di vestirlo, gli diamo un nome per adeguarlo al personaggio che il teatro sociale gli impone con un rito variopinto e variabile, che, per noi di tradizione e cultura ebraico- cristiana, si chiama battesimo, altrove in altri modi.
Il rito, la poesia, la rima, la metrica, la musica, tutte cose che altro non sono che ritmo che vuol dire ritorno. Si rappresenta quello che accade, che si vuole che ri-accada o che si stigmatizza perchè non accada più. E’ anche diritto, come legge, come regola, come traccia di una via, la strada che devi fare per raggiungere il fine, la fine, l’exitus, la procedura, la cerimonia. Prima l’uomo era preda, poi vede lo spettacolo della predazione di sé stesso, lo idealizza, lo riproduce, lo fa accadere e ne diventa attore, ossia lo esegue, per cambiarlo a suo uso. Nasce l’Arte come rappresentazione dell’evento che si vuole che accada, ma in modo nuovo. Da preda diventa predatore. C’è, una bella differenza. Ancora adesso la letteratura (teatro, cinema) rappresenta storie su cui noi vediamo accadere delle possibilità della nostra vita. Vi assistiamo come ad un esercizio all’idea della vita. Ancora nel teatro attuale (e nel cinema che è teatro tecnologico) ci si esercita a diventare attori della vita, ad impadronirsi delle sue forze. Come fanno i cuccioli nei giochi. La vita umana e il teatro coincidono in maniera perfetta. Per annullare una persona bisogna togliergli tutto; così esce dal ruolo, la si caccia dal teatro e, in fin dei conti, la si uccide, anche qui con rituali; tagliare i capelli, denudare e cancellarne anche il nome, come si è fatto ( e si fa) nei peggiori campi di prigionia. Tolto il costume, ostracizzata la finzione, si elimina la persona perché la persona non è solo corpo, è anche forma, anzi, è più forma che corpo. Gli eroi omerici badavano molto alla forma. Erano sempre in-forma. Patroclo prende la forma di Achille e fa strage finché non viene ucciso da Ettore, ma quasi per caso e con l’aiuto di Apollo . Il corpo da solo è morto, perché non può vivere senza il ruolo, la finzione che in-forma, dà forma.
Fingere in latino vuol dire plasmare, costruire un muro con l’argilla, una divisione, un dentro e un fuori entrambi separati, ritagliati. Temnein in greco significa ritagliare, la stessa radice di tempio, qualcosa che separa il profano dal sacro, dove sacro significa, appunto, separato. Impariamo il nostro ruolo nel teatro della vita ed è così che il teatro diventa cosmico e racconta la situazione dell’uomo nel mondo. Questa è la genesi e il senso dell’arte, l’espressione originaria, cioè la messa in scena e la rappresentazione di come il legame naturale fra l’uomo e il mondo si viene esplicitando, esprimendo nelle varie forme in cui si manifesta. L’arte è innanzitutto rappresentazione, ri-presentazione di riti ancestrali; il rito della pioggia, il rito della guerra, della caccia, eccetera. Per quale motivo le tribù primitive fanno la danza e si travestono da struzzi, fingono di essere struzzi? Perché se faccio lo struzzo lo conosco meglio, quindi lo posso catturare meglio. Guardo lo struzzo, imparo lo struzzo, lo faccio e poi lo vado a prendere. Ri-assumere l’evento che voglio far accadere ed imparare a farlo accadere come voglio io. Dargli forma, riassumerlo e rappresentarlo. E allora se questa è l’arte, non è una questione estetica, o ricreativa, lo è diventata soltanto adesso, ma è la conoscenza profonda nella forma della rappresentazione, della esibizione, della esecuzione del modello , del paradigma esecutivo, dell’idea platonica gettata nella vita e in ogni suo evento.
Perché il mondo non esiste, il mondo accade; esso non è fatto di cose, ma di eventi. I corpi stessi sono eventi. Con il rito, la configurazione tecnico- meccanicistica, l’informazione, l’ordine, l’uomo fa accadere il mondo. Ne racconta gli eventi fino ad un esito di cui è consapevole. Fino a quando, fino a dove? E da che cosa? Es-pressione ed e-mozione sono la stessa cosa. Qualcosa che spinge a muoversi. Arte significa movimento, azione. Il corpo morto è in-erte ossia senza arte. La per-formance è l’azione che si compie completamente, efficacemente: per: per-fetta. Quella azione che accadendo compie i suoi effetti e se ne nutre. E l’azione per eccellenza ; è teatro, arte dinamica. Dal rappresentare al divertire, l’attore fa di se stesso il tempio dove si celebra la verità. Questo teatro è antropologico, ancestrale e comune a tutte le società umane.
In occidente il teatro si istituzionalizza come spettacolo nella Grecia attica con Eschilo, Sofocle e Euripide; la tragedia è ancora un fatto civile, didascalico. Esso ha la funzione, come l’aveva il mito, di istruire, di educare, come una forma di enciclopedia figurata, divertente. Esiste la morte ed è inevitabile. Allora la rappresento in uno spettacolo appassionante, cioè che coinvolge il mio pathos e attraverso questo spettacolo imparo ad affrontarla quando toccherà a me. Il teatro è la più antica forma di sapienza dell’umanità. Con Socrate, Platone ed Aristotele, in una parola con l’avvento della filosofia che si impadronisce del sapere, il teatro viene confinato all’estetica, alla ricreazione, ma conserva ancora dentro tutte le forme di sapere, o meglio, è il sapere che non riesce ad evadere dal teatro. Non esiste conoscenza che non sia teatrale. La filosofia stessa, nei dialoghi di Platone, assume le sembianze di teatro, come pure la scienza nei dialoghi di Galileo. Anche la scienza contemporanea ha bisogno di paradigmi, di procedure, di regole, di rituali che conservano aspetti teatrali; persino la scuola ne dipende. Ricordiamo che fingere significa plasmare. La didattica a distanza, che in questi giorni ci viene imposta, è un aborto, nasce morta.
La verità quasi mai è evidente e talvolta è spaventevole o almeno sgradevole; quasi sempre incredibile, nel senso che è meglio ascoltare favole e crederci, che sbattere il muso sulla nuda verità. Essa va vestita di parole, recitata con la fantasia, col piacere della favola e la speranza di averne dominio. La verità non si può dire.