Quando Wagner diresse la Nona

Nel 2017 l’editore De Ferrari ha pubblicato il romanzo storico L’aquila e il cigno in cui l’autore Giorgio Magnano ripercorre i turbolenti rapporti fra Richard Wafgner e Friedrich Neitzsche. In omaggio a Beethovem, nel 250° anniversario della nascita, pubblichiamo un breve passo nel quale il grande autore del Tristano racconta all’amico filosofo il suo primo impatto direttoriale con la Nona Sinfonia a Dresda.

Nietzsche adorava la nona: “In effetti la nona non è nemmeno una sinfonia, ma una  potente, gigantesca ouverture che introduce una cantata.” Wagner sorrise: “Eccezionale osservazione la sua, giovanotto! Me ne compiaccio – versò un pò di Barolo e lo sorseggiò con gusto, osservandone il colore in trasparenza – Tuttavia, come peraltro accade in ogni opera, c’è modo e modo di interpretarla. Le racconterò a questo proposito di quando ero  Kappellmeister alla  Corte di Sassonia.” –  degustò un altro sorso, più per dar motivo ad una pausa che per altro. Wagner era un grande cultore delle pause del conversare e le impiegava con sapienza. Nietzsche si dispose ad ascoltarlo con devozione –

“Era la domenica delle palme del 1846 e toccò  a  me scegliere la  sinfonia da dirigere. Scelsi la Nona di Beethoven, anzi la imposi, contro il parere comune. Le prime esecuzioni della Nona  erano state non dico proprio  un fiasco, ma assai poco apprezzate. Forse erano troppo in anticipo coi tempi. Io però avevo bene in mente come interpretarla. Vigilai  sull’esecuzione con una cura cavillosa.  Ne curai innanzitutto il tempo, che dovrebbe essere la prima preoccupazione interpretativa di ogni direzione. I compositori più vecchi pensavano che il tempo giusto sia così ovvio da intuire, da accontentarsi di semplici indicazioni generali. Haydn e Mozart facevano uso del termine “Andante” per indicare una via di mezzo fra “Allegro” e “Adagio”, e pensavano che fosse sufficiente. Bach non indicava affatto il tempo e ciò, in termini strettamente musicali, è forse la cosa più corretta. Probabilmente diceva a se stesso: chi non capisce i miei tempi e le mie figurazioni, e non sente il loro carattere ed espressione, non sarà nemmeno in grado di capire le indicazioni di tempo. Potrei  ripercorrere  a mente, con lei, tutta la nona sinfonia soffermandomi su ogni singolo passaggio. Ne citerò uno soltanto a mò di esempio. Lei ricorderà  quel brano in do maggiore della seconda parte, nel quale tutti gli strumenti a corda suonano, all’unisono,  il motivo ritmico principale. Ebbene la melodia dei legni può restar soffocata dagli strumenti a corda, i quali, invece, non devono che accompagnare. Perciò, nel punto in cui gli strumenti a corda si affiancano a quelli a fiato, contenni i primi con un forte appena marcato, anziché abbandonarli all’indicato fortissimo; in modo che il motivo dei secondi, eseguito con tutto il  vigore  possibile, fosse finalmente nettamente percepito.   Come si suol dire “la musica cambiò”. Ma torniamo a parlare del coro. Fin dagli inizi della mia direzione, avevo capito che la chiave drammatica della Sinfonia era racchiusa nell’estrema difficoltà  dei cori. Capii che l’effetto pieno voluto da Beethoven non poteva  essere ottenuto se non con una massa di cantori entusiasti. Si trattava, innanzitutto, di procurarmi un cospicuo insieme di  voci. Reclutai, oltre ai cantori che avevo a disposizione per la Cappella, anche quelli dell’Accademia del canto di  Dreissig  a cui aggiunsi gli alunni del Liceo della  Croce con le loro  eccellenti voci bianche e infine il coro del seminario di Dresda, molto bene addestrato al canto ecclesiastico. Riuscii così a racimolare  trecento coristi. Si trattava adesso di addestrarli, o meglio, di entusiasmarli. Feci innumerevoli prove.  Io stesso, alla fine, raggiunsi un tale stato di ebbrezza che finii per trascinarli tutti, e non mollai  la  presa  fino a  quando la mia voce, che all’inizio troneggiava sulla massa, non fu quasi più apprezzabile, travolta in flotti d’ardente armonia. Sapesse che gioia, per me, udire il recitativo del baritono . Freunde, nicht diese Tone, così difficile da eseguirsi per le strane sue scabrosità, cantato dal Mitterwurzer con tanta avvincente espressione! Ma ebbi altresì  cura di assicurarmi un’acustica eccellente, facendo  risistemare totalmente il sito dell’orchestra. Musica non è  solo il suono degli strumenti e la voce  dei cantanti! Con la ricostruzione del palco riuscii a raggruppare l’orchestra nel centro e a circondarla dei numerosi cantori collocati  su gradinate ad anfiteatro. Ciò potenziava l’effetto del coro e attribuiva precisione ed energia ai passaggi sinfonici  dell’orchestra inserita al centro come in una sorta di cassa armonica, con oltretutto un effetto scenico avvincente. – La voce di Wagner era  quasi rotta dall’emozione – Il risultato fu travolgente! Ebbi la soddisfazione di ricevere la visita del direttore di orchestra Anacher che mi aveva sempre  aspramente criticato. Mi disse che da quel concerto si annoverava senza riserve fra i miei amici. Gade, che dirigeva i  concerti  del  “Gewandthaus” a Lipsia, mi assicurò che avrebbe volentieri pagato ingresso doppio pur di sentire un’altra volta il recitativo dei bassi. Ma anche qualche suo collega , caro  Nietzsche, si congratulò con me. Mi sovviene di un filologo, un certo Koechly, lo conosce? che mi confessò  come, per la prima volta in vita sua,  avesse seguito con interesse, da cima a fondo, una composizione sinfonica. Infine  Michele Bakunin che, seppur ricercato dalla polizia, era venuto a sentimi, mi confessò che se si fossero dovute distruggere tutte le opere borghesi, la Nona come l’avevo interpretata io,  sarebbe stata senz’altro da salvare! Quanto a me ero  raggiante. Avevo ottenuto  un completo successo con un’opera tanto problematica e così  poco popolare. Avevo inoltre la  certezza di poter sviluppare una musica drammatica, un’arte nuova, totale, una vera e propria arte dell’avvenire. E Beethoven me ne aveva indicato la  via. Proprio durante quella direzione avevo capito che la nona non era una sinfonia, ma nemmeno una forma nuova. E’ una gigantesca overture che introduce il momento dei canti e dei cori che sono il cuore dell’opera. Beethoven nella nona ritorna semplicemente alla cantata corale con orchestra. ”

Nietzsche ascoltava estasiato. Se avesse potuto  sentire Eschilo,  non avrebbe potuto  parlare tanto diversamente: “Mi sembra che voi stiate interpretando il dramma come solo i greci arrivarono a  fare. Tuttavia temo che agli esteti dei nostri giorni  possiate apparire come un sonnambulo, molto difficile, se non impossibile da seguire, nello stesso modo in cui, fino a pochi anni fa, la Nona Sinfonia non fu compresa. Persino i cultori di Schopenhauer potrebbero non essere in grado di cogliere la profonda armonia del vostro pensiero con quella del  filosofo. Credo che solo chi abbia compreso l’intimo significato del  Tristano potrebbe seguire il  vostro pensiero.” Wagner lo guardò pensoso. Cosima si rivolse a Nietzsche: “Richard mi ha raccontato che nel vostro primo incontro a Lipsia lei fece un’osservazione molto acuta e pertinente sull’essenza del  Tristano.”

“ Il Tristano mi ha sempre affascinato – rispose il filosofo – Mi reputo un discreto conoscitore dei tragici greci e di Schopenhauer. Forse ho i mezzi per penetrare un po’ più a fondo  dentro quella  splendida Opera.” Wagner e Cosima si guardarono, ma Nietzsche non se ne accorse.