“Assolutamente musica”, vite in parallelo dalla sinfonia all’opera lirica

Nella copertina tra il doppio binario Murakami Ozawa e il titolo per Einaudi Super ET “Assolutamente musica” si staglia un bollino gigante e rosso rotto da una mano che regge una bacchetta o forse, a ben guardare una penna. Perché si equivalga come lettura è ben spiegato nel testo: entrambe le arti (composizione e scrittura) per funzionare devono avere ritmo, struttura, vanno praticate mediando una cura incessante per il dettaglio con una più lungimirante visione d’insieme e soprattutto devono regalare emozione. Di fatto il bel testo tradotto da Antonietta Pastore mette a confronto uno scrittore e un direttore d’orchestra, ma non è una classica raccolta di interviste o di “conversazioni con una celebrità”, semmai la resa impressa sulla carta di una vera e propria risonanza del cuore. “Io facevo domande  a Ozawa Seiji e lui rispondeva – spiega Murakami Haruki– Ma spesso nelle sue parole sentivo l’eco del mio cuore. E spesso l’eco faceva risuonare ciò che sapevo sonnecchiare in me da molto tempo”.

Intrigante la divisione dei capitoli dal Concerto per pianoforte e orchestra n.3 di Beethoven agli anni Sessanta con il cambiamento del gusto reinterpretativo sino a un inciso sul blues e il jazz (si parla di ricerca musicale, del free jazz di John Coltrane e dell’invito al Ravinia Festival al re dei re Satchmo, Louis Armstrong) per finire con alcune riflessioni sull’insegnamento. Peccato che in questa bella edizione alla puntuale definizione e comparazione di bacchette diverse su alcuni concerti chiave dei maggiori cartelloni e della storia della musica non sia abbinato un qr code per rendersene conto, ci si deve accontentare dell’ottimo scritto, facendo un po’ fatica tuttavia a relativizzare la musica, ad immaginare alcuni passaggi, alcuni cambi di ritmo e “bizzarrie” di solisti o di direttori. Però, è anche vero che, come si legge nel “Primo interludio”, “La musica non è un suono, ma un concetto”, detto di Arnold Schönberg.

Provocatoria e spassosa nella sua dichiarata ingenuità la domanda di Murakami “Chi comanda in un concerto? Il solista o il direttore d’orchestra?” cui Ozawa risponde salomonicamente “Di solito, nella preparazione di un concerto, è al solista che tocca la parte più pesante delle prove. Il direttore inizia a confrontarsi con lo spartito solo un paio di settimane prima; quando il solista ci lavora già da sei mesi o anche di più, ed è già totalmente immerso nell’opera”. C’è spazio poi per una geografia della musica che riassume le tendenze delle più prestigiose orchestre dallo stile tedesco chiaro e concentrato (“Alla corda”) al suono prevalente leggero e piacevole della Boston Symphony nel periodo in cui il suo repertorio era in larga parte francese.

Ci sono ritratti piacevoli di musicisti dal primo flauto di Boston per diversi anni Jacques Zoon al mitico Glenn Gould sino alla Mimì indimenticabile di Mirella Freni e al direttore Paavo Järvi, senza tacere altresì le predilezioni degli stessi per alcuni autori o brani come la Quinta di Sibelius per Karajan. Spassosi alcuni aneddoti come quello che coinvolge il “ratto delle bacchette forgiate a mano di grande facilità d’uso” ai danni del direttore Eugene Ormandy, messo a segno dal giovane Ozawa invitato come direttore ospite nell’orchestra di Filadelfia.

Si riesce ad entrare così nei lati meno pubblici di Ozawa, pur essendo ben delineata la biografia, e a scavare nella sensibilità giapponese incarnata qui, ad esempio, pure dalla figura di Uchida Mitsuko, eccellente musicista dal suono puro e trasparente. Tra gli ultimi capitoli resta impressa una chicca del Maestro Karajan: “Il repertorio sinfonico e l’opera lirica per un direttore d’orchestra sono come le due ruote dello stesso carro. Se ne manca una, il carro non va avanti. Il repertorio sinfonico è composto da concerti, poemi sinfonici e via dicendo, ma l’opera è qualcosa di completamente diverso. Morire senza aver diretto un’opera non è come morire senza aver conosciuto Wagner? Proprio così”.