“Il quartetto d’archi è la conseguenza naturale di in linguaggio musicale in cui l’espressione è interamente basata sulla dissonanza rispetto a una triade….. Il quartetto di legni creava problemi di impasti timbrici…. Solo il quartetto d’archi permetteva al compositore di esprimersi con facilità e naturalezza nel linguaggio della tonalità classica….”. Ha scritto così Charles Rosen nel suo splendido libro sullo Stile classico, uno dei testi fondamentali per addentrarsi nel linguaggio di Haydn, Mozart e Beethoven.
Il Quartetto d’archi proprio nell’ambito dello stile classico viennese si impose come la forma da camera per eccellenza e tale è rimasta anche nelle epoche successive, sia nel romanticismo che nel Novecento. Una forma perfetta per l’equilibrio interno, per gli impasti timbrici, per le infinite potenzialità espressive adatte a tradurre qualunque linguaggio musicale, anche al di fuori di quell’ambito tonale per cui era nata.
Il “quartetto d’archi” individua tuttavia non solo una forma musicale, ma anche un organico strumentale. E perché quella magìa sonora di cui si parlava si possa effettivamente estrinsecare l’organico strumentale deve essere formato da quattro strumentisti di solidissima preparazione e soprattutto deve essere rodato a lungo. Un Quartetto non lo si improvvisa, ha bisogno di una maturazione lenta e graduale.
Ieri sera al Carlo Felice, ospite della Giovine Orchestra Genovese è tornato il Quartetto di Cremona. Cristiano Gualco e Paolo Andreoli, violini, Simone Gramaglia, viola, Giovanni Scaglione, violoncello sono nati musicalmente insieme, formano un quartetto da ventidue anni, sono la dimostrazione vivente di quanto si diceva prima.
Concerto magnifico, insomma, quello di ieri, con un programma particolare e affascinante.
I quattro artisti hanno aperto con il Quartetto n.1 di Prokof’ev facendosi subito ammirare per l’equilibrio fonico, l’eleganza delle entrate, la perfetta cura dell’insieme.
Poi Tenebrae di Osvaldo Golijov, compositore argentino vivente, autore di colonne sonore per film di successo. Tenebrae, ispirata a temi di Couperin è partitura di straordinaria tensione emotiva. Un discorso continuo che cresce e decresce su se stesso in un affastellarsi lento e inesorabile di elementi sonori, in un’atmosfera estatica che richiede un totale equilibrio nella emissione del suono. Qui il Quartetto di Cremona si è superato per la ricchezza di sfumature, la molteplicità delle dinamiche, la capacità di ottenere dei diminuendi perfetti nel rapporto fra i quattro strumenti.
Qualità confermate nell’ultimo brano in programma, il corposo e complesso Quartetto n.1 di Schoenberg. Lavoro non casualmente amato da Mahler. Schoenberg è in effetti ancora legato qui (siamo nel 1905) alle atmosfere tardoromantiche che avevano guidato anche il suo sestetto Notte trasfigurata. Una scrittura densa sul piano contrappuntistico, un movimento unico nel quale si distinguono sezioni differenti che richiamano ai classici movimenti di un quartetto in un processo armonico che guarda avanti, facendo presagire la svolta che di lì a poco avrebbe segnato la carriera del compositore.
Ammirevole la lettura dei quattro esecutori, al termine calorosamente applauditi dal folto pubblico. Un bis, il poetico Adagio di Barber.