Lo splendido Sostakovic del David Oistrach Quartet e della pianista Virsaladze

“Il genere del quintetto per pianoforte e archi […] trova la sua piena espansione nel periodo romantico, quando si configura come una specie di concerto da camera per pianoforte….”. L’affermazione di Piero Rattalino, ripresa nelle attente note del programma di sala di ieri sera alla GOG da Giulio Odero, fotografano egregiamente una particolare tipologia di formazione strumentale e nello stesso tempo ne  prospettano la maggiore insidia, insita sul piano dell’equilibrio fonico. Il quartetto d’archi costituisce l’ensemble perfetto nella musica da camera: quattro strumenti della stessa famiglia che si amalgamano magnificamente sul piano timbrico. Ma l’intervento del pianoforte con la sua meccanica percussiva rischia ogni volta di compromettere quell’intimo rapporto interno. Il pericolo cui si è accennato, ieri sera è stato totalmente scongiurato al Carlo Felice dal perfetto affiatamento evidenziato dal David Oistrach Quartet (Andrey Baranov e Rodion Petrov, violini, Fedor Belugin, viola, Alexey Zhilin, violoncello) con la pianista Eliso Virsaladze. Una serata eccellente  dedicata a due capolavori della letteratura quintettistica.

Il Quintetto in sol minore op. 57 scritto da Sostakovic nel 1940 è fra le pagine più intense, drammatiche e aggressive del grande compositore russo. L’atmosfera risulta evidente già nel Preludio articolato in diverse sezioni e impostato su un violento susseguirsi di immagini sonore. La stessa aggressività connota lo Scherzo. Fra i due movimenti una splendida fuga che si dipana lenta e imponente partendo dal primo violino e approdando ai bassi della tastiera. Strumentisti dotati di un indiscutibile bagaglio tecnico, intonazione  perfetta, i quattro archi hanno dialogato fra loro e con la tastiera (bravissima la Virsaladze per controllo del suono e chiarezza nel fraseggio) in una unità di intenti espressivi: una lettura di indubbio fascino che il pubblico ha accolto con un uragano di applausi.

Poi, il Quintetto in mi bemolle maggiore op. 44 di Schumann il cui spirito, in netto contrasto con il lavoro di Sostakovic, è di elegante serenità con la ricerca di un suono morbido, pastoso, tanto nelle corde degli archi quanto in quelle del pianoforte. Un cambio di rotta che gli interpreti hanno effettuato con intelligenza e gusto interpretativo, offrendo anche in Schumann una esecuzione inappuntabile.