La storia del teatro musicale è ricca di capolavori fischiati al loro debutto da un pubblico impreparato a coglierne le novità e stroncati da una critica conservatrice, poco propensa a staccarsi dalla “tradizione”.
Fra i casi più emblematici, va annoverata senza dubbio Carmen.
Il 3 marzo del 1875 i parigini che affollarono il Teatro dell’Opera-Comique per assistere alla prima del lavoro di Bizet si aspettavano uno spettacolo in linea con la solida tradizione dell’opera-comique: una storia edulcorata, sentimentale, con una musica raffinata e qualche elemento più drammatico confinato nei dialoghi in prosa per non alterare il clima della partitura. Uno spettacolo, insomma, “per famiglie”. Carmen quella leggerezza l’aveva pure, ma in aperto contrasto con una crescente drammaticità, con il senso della morte incombente. E, soprattutto, alle eroine fragili e delicate del passato Bizet opponeva una donna libera, femminista ante litteram, orgogliosa nell’affermare la propria personalità, pronta ad andare verso la morte pur di non piegarsi al volere di Don Josè, pazzo di gelosia. Quel pubblico, dunque, rimase scandalizzato e fischiò, non rendendosi conto di aver assistito al debutto di un lavoro destinato a diventare in assoluto fra i più popolari e rappresentati al mondo. Purtroppo del trionfo successivo non seppe neppure Bizet che morì poco dopo il debutto.
Quel rapporto fra levità e tragedia, fra i colori accesi di un folclore magistralmente colto in orchestra e nella scrittura vocale e il cupo presentimento della morte che aleggia qua e là, costituisce tuttora una chiave di lettura fondamentale per entrare nello spirito di Carmen.
Una chiave perfettamente colta da Donato Renzetti che ieri sera ha diretto l’opera al Carlo Felice con caloroso successo.
Un bello spettacolo sul piano musicale, e con un impianto visivo che se non ha convinto pienamente tutti, è parso globalmente apprezzabile.
Renzetti ha optato per la versione con i recitativi e non con i dialoghi in prosa come era nella stesura originale dell’opera-comique. Ha lavorato con intelligenza sulle dinamiche, sui colori di una partitura effervescente, ricca di movimenti di danza e di slanci lirici. I complessi stabili, va detto, hanno assecondato al meglio il direttore emerito che oggi, vacante l’incarico del direttore artistico, è il principale punto di riferimento musicale del Teatro.
Il ruolo della protagonista era affidato a Annalisa Stroppa, artista che abbiamo apprezzato in passato in altre sue esibizioni. La sua voce ha un timbro caldo e una tecnica solida. Si aggiunga la bella presenza, la verve attoriale e si avrà una Carmen ineccepibile che ha saputo dominare la scena con una forte personalità. Se Carmen è la donna di temperamento focosa, Micaela rappresenta la ragazza “pulita”, di buona famiglia. Geniale l’idea di Bizet di creare questo binomio femminile; e geniale l’idea di affidare alla giovane ragazzina pagine di un lirismo straordinario, fra le più belle della partitura. Il ruolo è stato assolto da Giuliana Gianfaldoni con ammirevole eleganza ed espressività.
Francesco Meli ha messo al servizio di Don Josè la sua esperienza e la sua indiscutibile autorevolezza vocale, anche se nel primo atto ci è parso un poco rigido e si è poi “sciolto” nel secondo e terzo.
Luca Tittoto era all’esordio nella parte di Escamillo. Non è un ruolo toitalmente adatto alle sue qualità vocali, tuttavia, l’artista si è fatto apprezzare per espressività e per un fraseggio sempre accurato e controllato.
Bene tutti gli altri: Armando Gabba, Saverio Fiore, Paolo Ingrasciotta, Luca D’Amico, Vittoriana De Amicis e Alessandra Della Croce.
L’allestimento arrivava dall’Opera di Roma. La regia di Emilio Sagi è stata ripresa da Nuria Castejon che ha firmato anche le belle coreografie. La partitura offre diverse occasioni per danze spagnole e sei danzatori hanno offerto momenti sicuramente godibili, anche se in alcuni casi un po’ troppo rumorosi, a scapito della musica.
L’impianto scenico era nell’insieme funzionale anche se non ha entusiasmato parte del pubblico. Qualcuno ha lamentato la mancanza di quel colore spagnolo che è nello spirito di Carmen. E in effetti le sigaraie tutte in abito bianco nel primo atto non hanno effettivamente “acceso” lo spettacolo.
Nell’insieme, comunque, un impianto visivo apprezzabile.
Il pubblico, numerosissimo, ha applaudito con calore.