Dopo quasi mezzo secolo (Norma alla Scala si era vista l’ultima volta nel 1977 con la direzione di Gavazzeni , Montserrat Caballe’ nel ruolo del titolo,Tatjana Troyanos come Adalgisa e Giorgio Casellato Lamberti come Pollione e regia di Mario Bolognini …il tempo dei “dinosauri”) il capolavoro di Vincenzo Bellini si è affacciato ieri sul palcoscenico del Piermarini con premesse elevate. Certo partecipare a un evento di cartello come la grandezza di questa opera che ha pochi eguali nella storia del melodramma e che ha stupefatto musicisti come Wagner e Verdi che hanno riconosciuto in essa una sensibilità, semplicità e grandezza insuperabili, non è un’ occasione da poco. Pur, non ritenendomi un vedovo di Callas, Caballè e Sutherland, l’attenzione ad arie come “Casta diva,” Qual cor tradisti”, “In mia man alfin tu sei..” etc etc e’ massima e senza sconti. Partendo dalla impeccabile e intensa direzione del maestro Fabio Luisi che già esordiva nel 2024 a Martinafranca nella stessa opera, la cura e l’attenzione nel seguire le varie sezioni orchestrali con precisione affidando alle sole mani gli attacchi, i crescendo, e l’espressività dei suoi strumentisti è un appagamento intimo nel gustare la musica. L’introduzione al secondo atto della tragedia è realizzato con tale intimità, sobrietà e passione che prende in braccio il pubblico accompagnandolo a uno dei momenti più forti del dramma; il pensato e non realizzato infanticidio.
L’ensemble orchestrale della Scala risponde in piena sinergia con gli attacchi dei violoncelli, e dei fiati da lasciare a bocca aperta. Venendo alle voci, il pur lodevole sforzo di Rebeka nel rendere al meglio l’ingrato ruolo di Norma sia in “Casta diva” sia nei drammatici momenti ” Qual cor tradisti” e “In mia man alfin tu sei” non riesce a uscire da quella generica spinta vocale senza colori che non le consente di controllare l’emissione del canto con una capacità interpretativa necessaria al personaggio. Viceversa, la personalità e i controlli di emissione della voce in Berzanskaja con la cura di immedesimazione nel personaggio di Adalgisa che passa dal pianissimo al forte con serafica disinvoltura disegna una resa francamente efficace e seduttiva. Generica e con voce ingolata è la recita del baritenore De Tommaso che non sempre convince . Nulla da dire sulla nobile e credibile vocalità di provata esperienza dell’Oroveso di Pertusi. Molto osteggiata e discussa la regia del francese Olivier Py che mischia un po’ troppo le carte ambientando l’evento nel 1830 ai tempi del Risorgimento tra austriaci e milanesi, anticipando in un telo l’immagine del teatro milanese danneggiato dalle bombe dell’ultima guerra. Alla comparsa dei protagonisti al proscenio un netto buuuh su Rebeka, presto trasformato in applausi generosi della maggioranza è seguito a una ovazione condivisa per la Berzanskaya, applausi discreti per De Tommaso e grande successo del maestro Luisi. Giunto il povero regista unanime il pollice verso con fischi e buuuuh. Spettacolo da vedere.