I fiati del Carlo Felice: emozioni da Beethoven a Morricone

Un concerto, quello di ieri sera sul palco di Piazza delle Feste del Porto Antico, denso di grande musica, eseguita con altrettanta maestria e carattere dai professori d’orchestra del Teatro Carlo Felice. L’ensemble, costituito da legni (flauti, oboi, clarinetti e fagotti), ottoni (trombe e corni) e timpani, ha ammaliato un pubblico numeroso, nonostante l’impossibilità di occupare tutte le sedie a causa delle procedure anti-contagio. Per buona parte delle persone presenti si è trattato del primo concerto dopo l’innaturale e angoscioso silenzio degli scorsi mesi, motivo per cui l’emozione è stata ancor più grande e mescolata a una spontanea solennità. Le procedure sono state rispettate alla perfezione, con pazienza da parte del pubblico e solerzia da parte dello staff: esse prevedevano la compilazione di un’apposita dichiarazione d’accesso, la misurazione della temperatura e la presenza di disinfettante all’ingresso, l’obbligo di mascherine nel percorso per arrivare al proprio posto, la presenza di numerosi manifesti all’interno e all’esterno della tensostruttura riportanti un vademecum delle misure da rispettare. Una volta sedutosi il pubblico e fatto il loro ingresso i musicisti, le mascherine lasciano il posto all’imboccatura degli strumenti e a rassicuranti pezzi di una normalità sospirata: un cenno di assenso, e si inizia. I suoni pieni e tondi dei 13 fiati riempiono l’aria, gli strumenti luccicano sotto le potenti luci del palco, mentre cielo e mare vanno incontro ai colori della sera. Risaltano subito la sincronia e l’intesa, ancor più notevoli vista la mancanza di un direttore. Si inizia con la trascrizione per 14 fiati e timpani della Sinfonia da Tancredi di Gioachino Rossini: brano introduttivo e al contempo in sé compiuto, che dopo un inizio imperioso e drammatico lascia il posto al cosiddetto “dramma giocoso” tipico rossiniano, dall’andamento brillante, serrato e coinvolgente che si conclude con il classico “crescendo”. Il secondo brano è di carattere contrastante, una danza malinconica e al contempo lirica e leggiadra, dalla grande immediatezza espressiva: si tratta della Pavane pour une infante defùnte di Maurice Ravel, trascritta per strumenti a fiato.

Al termine dello stesso, il primo oboe spiega al pubblico con un breve intervento la caratteristica particolare che accumuna i primi due brani e l’ultimo del programma: sono tutti e tre arrangiamenti per fiati di composizioni scritte originariamente per orchestra completa, cui sono state aggiunte due trombe e i timpani per ottenere una maggiore massa sonora. L’unico brano effettivamente composto per tale formazione è il Notturno per fiati di Mendelssohn, con la sola differenza rispetto alla partitura originale della presenza del controfagotto, che sostituisce uno strumento ora non più utilizzato: il corno inglese basso (probabilmente simile all’oficleide, “discendente” del serpentone). Tale Notturno, interessante composizione del giovane Mendelssohn, caratterizzato da una prima parte lenta e meditativa e una seconda ritmica e incalzante, viene eseguito come terzo brano. È infine il turno della Sinfonia n. 1 di Ludwig van Beethoven: composizione che segna l’approdo del compositore al mondo della sinfonia, caratterizzato dal fluire irregolare di temi e ritmi contrastanti e armonie già ardite, racchiusi però all’interno di un’architettura perfettamente classica. Al termine l’applauso è fragoroso, e a grande richiesta del pubblico si passa rapidamente al bis: un arrangiamento di tre temi di Ennio Morricone (tratti dai film La città della gioia, Mission e Nuovo Cinema Paradiso), realizzato sapientemente dal cornista Fabio Uscidda e dedicato al compositore a pochi giorni dalla sua scomparsa. Le note si susseguono accompagnate da un improvviso profumo di frittura di pesce e di brezza marina: un effetto straniante, ma che, lungi dall’infastidire, sembrava suggerire un’ideale fusione tra la Musica e i sapori culturali della nostra terra. L’esecuzione di altissimo livello si conclude lasciando tracce di commozione sui volti dei musicisti e del pubblico, buona parte del quale in piedi, unite alla consapevolezza dell’immensa eredità che ci lascia un grande e inimitabile Maestro.