Concerto per Genova, con sobrietà per ripartire

L’imperativo categorico era: ricordare più che festeggiare, salutare il nuovo Viadotto sul Polcevera senza dimenticare le 43 vittime del Morandi. Nei mesi scorsi su questa fatidica  “inaugurazione” erano scoppiate polemiche non da poco con il Comitato dei parenti delle vittime giustamente sul piede di guerra. Il Concerto per Genova, offerto dal Carlo Felice ieri sera è parso sotto questo aspetto perfettamente in sintonia con le attese. Si è avvertita quella sobrietà che in genere caratterizza la nostra città. Niente tappeti rossi, niente megashow, niente artisti “foresti” piombati sulla città con altisonanti iniziative.  Programma attento alla nostra storia e interpreti in buona parte genovesi di nascita o almeno di adozione. Un modo per guardare avanti senza rinnegare la propria storia, anzi, una volta tanto porla in primo piano.

Teatro affollato, dunque, nei limiti imposti dalle regole. Palcoscenico allungato per accogliere tutti, coro e orchestre nel corretto distanziamento: file dei coristi con ampi spazi intermedi, fiati separati da plexiglass, archi, uno per leggio.

Fabio Luisi ha diretto in apertura Il Canto degli Italiani e in una serata “zeneize” vale sempre la pena ricordare che anche il nostro inno è nato dalla mente di due concittadini, Novaro e Mameli.

Poi i discorsi di rito e l’avvio ufficiale del programma che si è aperto con il brano appositamente composto da Ennio Morricone (Tante pietre a ricordare) e presentato in prima esecuzione assoluta sotto la bacchetta del figlio Andrea.

Andrea Morricone e Lucia Benza

Il lavoro, quattro minuti circa di musica, si apre con una introduzione scura dell’orchestra (quasi una passacaglia) su cui si leva, a mo’ di cantilena,  la voce bianca (la bravissima Lucia Benza preparata da Gino Tanasini): il tema richiama quello del “Dies irae”, il coro riprende la frase enunciata dalla voce bianca e la ripete quasi ossessivamente in un crescendo che porta al pieno orchestrale. Il piglio è parso francamente un po’ troppo marziale e l’esecuzione non particolarmente compatta. La partitura, insomma, non si può certo inserire fra i capolavori di Morricone, ma è costruita con mestiere e il pubblico l’ha accolta con tale entusiasmo da spingere il direttore a bissarla.

Per il resto del programma è tornato sul podio Fabio Luisi che ha regalato alcune letture di notevole livello espressivo e tecnico, a cominciare dal primo tempo della elegante Suite n.8 Genova di Lorenzo Perosi, vivace, colorato e lussureggiante ritratto della Superba, scritto dal “pretino” di Tortona nel quadro di un progetto più ampio che prevedeva un ciclo di Suite dedicate ognuna a una città italiana. Una esecuzione condotta con verve da Luisi che poi è passato al Verdi genovese del Simon Boccanegra. Serena Gamberoni, Francesco Meli, Michele Patti, Simone Piazzola, Giovanni Battista Parodi e Roberto Scandiuzzi hanno proposto alcune pagine della straordinaria opera composta nel 1857 ma rivista profondamente nel 1881, nella tarda maturità del compositore, alla vigilia delle sue due ultime stupefacenti creazioni, Otello e Falstaff.

Fabio Luisi

Un bel cast diretto con autorevolezza da Luisi e pagine che hanno entusiasmato la platea, dall’aria “Come in quest’ora bruna” risolta con raffinatezza dalla Gamberoni alla grande scena finale del primo sto, nella quale Piazzola ha vestito con forza le vesti del Doge genovese e Meli è stato un appassionato Gabriele. Bene il coro diretto da Francesco Aliberti

Dopo un tale splendore, unica nota poco felice della serata, l’inserimento di una trascrizione assai discutibile per violino e orchestra del “Capriccio n. 24” di Paganini realizzata ed eseguita dal pur bravo giovane violinista Giovanni Andrea Zanon. La presenza di Paganini in un programma di marca genovese era francamente obbligatoria e bene hanno fatto gli organizzatori a volerla. Però il catalogo delle opere del grande artista è ricco di pagine originali per violino e orchestra di ottima  fattura: penso alle Streghe, ma si poteva proporre pure la Sonata a Preghiera dal Mosè in Egitto di Rossini (poi eseguito nel finale del concerto) o, ancora, potendo contare sul coro, Le Couvent du Mont Saint Bernard, una rarità. La trascrizione ascoltata, alquanto zoppicante nei rapporti tra solista e strumentale, non ha reso giustizia all’originale che, come è noto, è fra le pagine più famose e “copiate” del repertorio paganiniano.

Novità interessante del programma, invece, il “Quoniam” per tenore e orchestra dalla Messa Solenne per soli, coro e orchestra di Saverio Mercadante, eseguita per la prima volta nel 1868 e ritrovata recentemente negli archivi della famiglia genovese Cattaneo-Adorno. Nel ruolo di solista Francesco Meli ha ancora una volta regalato una straordinaria interpretazione per verve, varietà di colori e di sfumature.

Finale, come già ricordato, nel nome di Rossini con lo splendido concertato “Dal tuo stellato soglio”  dal Mosé in Egitto restituito con intensità espressiva da Luisi ben assecondato dai cantanti (ai già citati si è aggiunta Martina Belli).

Molto bene in tutto il programma l’Orchestra che quando è affidata a Luisi offre sempre letture di alto livello.