GOG – Il trio da Beethoven a Brahms e le suggestioni di Galante

Di questi tempi, ogni concerto realizzato costituisce una piccola, grande conquista per gli organizzatori giornalmente terrorizzati dal rischio chiusura.

E di questi tempi una sala sufficientemente affollata è ulteriore motivo di soddisfazione perché in molti, non senza ragione, è ormai tornata una comprensibile paura del contagio e, fatte salve le uscite obbligate, spesso si finisce per preferire la televisione a uno spettacolo dal vivo.

Ieri dunque per la Giovine Orchestra Genovese al Carlo Felice è stata una bella serata: concerto regolarmente tenuto, di ottima qualità, davanti a una bella platea giustamente soddisfatta e plaudente.

Ospiti della Società genovese Giampiero Sobrino, clarinetto, Sara Airoldi, violoncello e Giuseppe Albanese, pianoforte. Tre solisti di notevole professionalità che hanno formato un trio ben affiatato, coeso nel suono e nel fraseggio.

Qualità emerse appieno nei due brani che hanno aperto e chiuso il programma: il Trio op. 11 di Beethoven e il Trio op. 114 di Brahms. Pagine affrontate e risolte con eleganza e belle scelte dinamiche: si pensi, in particolare, allo splendido Adagio beethoveniano, uno dei momenti più intensi delle due esecuzioni.

Al centro del programma (proposto in un unico tempo senza intervallo), due pagine affrontate in formazioni differenti.

Di Carlo Galante è stato proposto “Le due lune di Marte” un dialogo lirico per clarinetto e violoncello, opera di recentissima creazione.

““Il brano – spiega Galante, compositore dalla ricca produzione, fino allo scorso anno docente al Conservatorio “Niccolò Paganini” – è dedicato a Giampiero Sobrino e Sara Airoldi che sono al contempo due splendidi musicisti e due cari amici. Come due satelliti che girano incessantemente attorno al proprio pianeta da cui sono inesorabilmente attratti, così i due strumenti, il clarinetto e il violoncello, cantano attorno ad un misterioso oggetto di desiderio che non appare, non si può toccare né vedere, ma che agisce profondamente sulla loro natura strumentale”.

Elemento centrale della partitura la ricerca di un colore e di atmosfere del tutto particolari, grazie a una scrittura portata spesso su tessiture inconsuete. Ne derivano frasi liriche dense, momenti più rarefatti in un contesto di indubbio fascino poetico che i due strumentisti hanno reso con maestria e convinta partecipazione espressiva

A completare il programma, la Sonata Appassionata di Beethoven affidata alle dita iperagili e duttili di Albanese, pianista fra i migliori della sua generazione: lettura incisiva, potente, condotta con una gestualità a tratti un po’ teatrale, ma indubbiamente efficace.

Applausi calorosi e meritati per tutti e tre gli strumentisti.