Eros e Thanatos

Letteratura e Musica fanno del binomio “Amore e Morte” una metafora dell’esistenza umana: la tensione al Desiderio – amoroso o meno, ma comunque mai completamente appagato – distrae dall’idea della Fine proprio mentre ad essa inesorabilmente avvicina

“Fratelli a un tempo, Amore e Morte/ ingenerò la sorte”. Si esprimeva così il più grande dei nostri Romantici in apertura del ventisettesimo dei suoi canti. Giacomo Leopardi aveva il coraggio di fissare negli occhi l’ “arido vero” e contemporaneamente subire il fascino della bellezza, sapeva sentire la verità del Nulla e insieme aspirare al Sogno in un unico atto creativo, fondendo mirabilmente Realismo e Romanticismo nella sua immensa Poesia.

Se è vero che l’Ottocento è il momento del trionfo, nella letteratura e nel melodramma, del tema dell’amore impossibile, irraggiungibile, presago di morte, in realtà fin dalle origini Poesia e Musica – con la loro capacità di conciliare i mondi più lontani e di esplorare gli abissi dell’animo umano con i suoi irrisolvibili conflitti – hanno celebrato l’inscindibile binomio Eros e Thanatos.

Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca, sono soltanto i più noti fra una miriade di amori ostacolati o irrealizzati, ma soprattutto alimentati da una mai sopita nostalgia. Anzi, nella maggioranza dei casi sono proprio la lontananza, il distacco a rendere possibile il perdurare dell’amore. L’amore sussiste solo se c’è l’ostacolo e il massimo dell’ostacolo-separazione è proprio la morte: a questo sembrano tendere i due amanti, questo sembra essere il fine del sentimento che li unisce.

“Mi ama tanto che la morte ama”, dice Isotta dalle bianche mani. La vicenda di Tristan und Isolde, in genere considerata capostipite di quel filone di amore e morte che troverà nel Romanticismo il suo apogeo, ha degli antenati anche nel lontano mondo della mitologia classica. Le antiche leggende riconducibili allo schema dell’amore impossibile sono molte, ma la più suggestiva, la più enigmatica e inquietante è il mito di Orfeo e Euridice. Per lo più banalizzata in molte delle numerose rivisitazioni moderne, spesso edulcorata con un lieto fine nei melodrammi del 6-700, la storia originariamente raccontata da Ovidio e Virgilio conserva tuttora una grande potenza evocativa ed una carica problematica maggiore rispetto a quella di altri miti apparentemente simili. Difficile dare un’interpretazione a quel distacco definitivo e ineluttabile di Euridice che svanisce nel momento stesso in cui Orfeo – non resistendo alla tentazione di guardarla mentre s’incammina per lasciare l’Oltretomba e tornare sulla terra – si volta, tradendo il patto fatto con Ade.

In genere però l’amore nel mondo greco e latino è gioioso, dionisiaco e raramente si sposa con l’idea di morte.

L’amore occidentale invece, dalle sue origini cortesi, appare fondamentalmente legato al distacco, alla sofferenza. E’ un sentimento che esige l’assenza e l’idealizzazione di chi si ama, un desiderio fine a se stesso che il più delle volte rimane inappagato. Così cantano l’amore i trovatori provenzali e i nostri poeti della scuola siciliana, che adorano la donna con tensione mistica, con una dedizione totale pervasa da un senso di morte quale fuga dalla realtà quotidiana, difficile e banale. Tra gli Stilnovisti, è soprattutto Cavalcanti a concepire l’amore come una forza devastante che conduce alla rovina.

Eros e Thanatos trovano poi uno dei vertici più alti nella poesia e nella musica italiana nel Combattimento di Tancredi e Clorinda della Gerusalemme liberata. Il tema dell’amore irrealizzabile qui diventa una vicenda straziante, narrata dal Tasso e poi musicata da Monteverdi con passione commossa. Nel momento culminante dell’uccisione di Clorinda, il combattimento tra lei e Tancredi pare più un sensualissimo incontro amoroso che incalza fino al climax, che non un duello mortale:

“Spinge egli il ferro nel bel sen di punta / che vi si immerge e’l sangue avido beve; / e la veste, che d’or vago trapunta / le mammelle stringea tenera e leve, / l’empie d’un caldo fiume…”.

Nei romanzi, nei drammi e nei melodrammi moderni il tema dell’amore impossibile legato all’idea di morte è assai diffuso, soprattutto in epoca romantica: pensiamo soltanto ai libretti della maggior parte delle opere liriche dell’Ottocento… Nella letteratura francese il tema è stato l’ingrediente principale di alcuni racconti di Flaubert (per esempio il giovanile Passione e virtù) e, in tempi più vicini a noi, del romanzo di Marguerite Duras, L’Amante, in cui per una volta è l’uomo ad essere impossibilitato ad unirsi per sempre all’amata, molto giovane e povera, perché già promesso sposo di una donna ricca; o del recente Attentato di Amelie Nothomb, moderna favola dell’amore irrealizzabile calata, con l’umorismo sottile che contraddistingue sempre l’autrice, nell’odierna società attenta solo alle apparenze.

Nel filone dei desideri irrealizzabili perché rivolti a giovanissimi si possono collocare  inoltre il meraviglioso racconto di Mann La morte a Venezia e Lolita di Nabokov. Mentre tra gli italiani, a partire dalle foscoliane Ultime lettere di Jacopo Ortis, ricordiamo per brevità solo Senilità di Svevo e Un amore di Buzzati. Tutte storie suggestive e coinvolgenti proprio perché incentrate sulla fusione di amore e morte, simbiosi e separazione, desiderio di possesso e assenza…

Perchè, come annotò Jung in Ricordi, sogni, riflessioni “l’amore ha non poco in comune con la morte”.

Perchè, come scrisse Hemingway in Morte nel pomeriggio – quasi a dettare una regola, si spera, più della finzione letteraria che della vita vera – “Se due persone si amano non può esserci per loro una fine felice”. Ovvero la passione, se ha quella particolare forza irrazionale che sfida ogni logica, non può incanalarsi nel quotidiano.

Perchè, infine, vivere l’amore – quello possente, che tocca l’infinito – significa spostarlo sempre più in avanti vivendo…fino alla morte.