Essere e Tempo – Poetica nell’ esistenzialismo. Parte prima: Esistenzialismo

Pubblichiamo una riflessione in tre parti sulla poetica dell’esistenzialismo scritta dal nostro collaboratore Giorgio Magnano, un’analisi lucida su tematiche che ci riguardano ancora da vicino.

Nel 1927 Martin Heidegger diede alle stampe sull’”Annuario per la filosofia e la ricerca fenomenologica” di Edmund Husserl la sua prima opera importante: “Essere e Tempo”. In realtà l’opera è incompleta, ma resta uno  dei principali fondamenti della filosofia contemporanea e va considerata la pietra fondativa di quello che sarà l’esistenzialismo del 900, ove si intenda per esistenzialismo l’analisi dell’esistenza ossia  del modo di essere dell’uomo nel mondo. Il rapporto uomo-mondo è  il tema di ogni filosofia esistenzialistica e modifica il rapporto corpo-mondo più tipico della fenomenologia di Husserl a cui l’esistenzialismo (e Heidegger stesso) si ispira e fa riferimento.

L’esistenzialismo ha numerosi precursori filosofici, ma i più immediati furono Pascal nel 700 e,  nel 800, Schelling che portò nella realtà l’idealismo di Hegel, preparando l’esistenzialismo che arriverà alla persona. Inizialmente allievo di Schelling, fu tuttavia Kierkegaard il vero fondatore dell’esistenzialismo.  Anche in letteratura, in ambiti in cui più vivo è il senso della problematicità della vita umana, si riscontrano elementi esistenzialisti  precedenti al movimento filosofico vero e proprio;  nella prosa, Kafka e Dostojewski e, fra i poeti, Leopardi e Baudelaire. Inoltre  tutta la successiva corrente simbolista che arriverà oltre D’Annunzio, è stata  ispirata  da Baudelaire e da Wagner nella musica e nel teatro. Un chiaro esempio di simbolismo musicale lo troviamo nell’overture dell’Olandese Volante.  Baudelaire si può considerare antesignano di quellaletteratura, come ha evidenziato  il principale esistenzialista del 900, Jean-Paul Sartre in un saggio intitolato appunto “Baudelaire”. Sartre stesso costituisce l’anello di congiunzione fra queste forme concettuali e letterarie elaborate in epoca anteriore e la letteratura esistenzialista vera e propria a cui egli stesso contribuì con “La Nausea”. Tornando ad Heidegger, il titolo stesso dell’opera, appunto “Essere e Tempo”, introduce un dualismo molto chiaro fra due concetti che, anche ad una prima analisi molto superficiale, risultano estremamente sfuggenti. Sulla domanda : che cosa è l’essere, si sofferma  gran parte dell’opera di Heidegger, ma non è qui la sede per affrontarla se non al volo, in quanto  trattasi di una domanda fondamentale talmente difficile, da mettere in imbarazzo  la filosofia tutta, che ne affrontò la problematicità fin dai tempi di Parmenide. Peraltro, per dare una direzione seppur di massima al nostro discorso, possiamo risolvere la domanda  con la notissima prima risposta che ne diede Heidegger stesso; e cioè che: l’Essere non è un ente.

Enti sono  gli animali, le piante, gli oggetti, in una parola le cose con qui siamo quotidianamente in rapporto. Questo conduce ad una prima osservazione, che cioè la domanda stessa: “che cosa è l’essere?” contiene in se medesima una  contraddizione. Ma, pur non volendo addentrarci in tentativi ulteriori, questa sola osservazione apre orizzonti infiniti  al di la di questa siepe che da tanta parte il guardo esclude (Leopardi; L’Infinito). Ossia, per esempio, che la parola esistenza indica una cosa che ex-siste, cioè che sta-da, è in atto, e quindi si intende delle cose create o che comunque hanno una causa. E allora si potrebbe dire che andare a cercare le prove dell’esistenza di dio (Anselmo, Agostino et al.) significa negare dio come dio. Forse dio è, ma non può esistere, cioè essere creato, derivare da. Tanto è vero che dio, quando si rivela all’uomo, lo fa come ente, perchè gli uomini non possono uscire dalla categoria dell’esistenza.  Gesù, quale uomo, è un ente. I miracoli si verificano a carico di enti, eccetera. Forse gli umani l’essere lo possono solo intuire “per sottrazione” come ha notato Vattimo. E mi viene in mente Bertrand Russel il quale, a chi gli domandava cosa avrebbe detto a dio se gli avesse rimproverato l’ateismo, rispose : “Prove insufficienti, Dio, prove insufficienti!” dimenticando forse che le prove si cercano negli enti, non nell’essere.

A questo punto arriva Baudelaire che, in Fusèes scrive:”Quand’anche Dio non esistesse, la Religione sarebbe sempre santa e Divina. Dio è il solo essere che, per regnare, non abbia neppur bisogno di esistere.”

Ciò che conta quindi, più del nudo esistere, sono la natura e le funzioni che questo essere comporta. La spiritualità per Baudelaire è  assenza. Il concetto di aldilà, considerazione generica attribuita dagli uomini all’ambiente  divino, si completa e si chiarisce aggiungendo dell’esistenza, vale a dire che dio è al di la dell’esistenza, ossia non esiste. Un’affermazione apparentemente atea, ma tale solo per un ateismo ingenuo, umanamente interpretato, mentre in effetti è profonda trascendenza dalle umane angustie. Trascendenza  e spiritualità sono dunque assenza, affermazione non negativa, ma ermeneutica. Così la noia è un sentimento metafisico, come dirà Sartre e come già si era accorto il pastore errante di Leopardi.

E poi il c’è il tempo.  Il tempo, come l’essere,  da solo è indefinibile, assente. Non esiste da solo, ma soltanto inserito fra due eventi che lo rendano misurabile. Ma proprio due concetti di per se indefinibili finiscono per definire  l’uomo proprio nel suo essere aldilà dell’ente. Heidegger si sofferma a lungo, con pagine bellissimeanche se  talvolta astruse, sull’analisi del tempo in rapporto a quell’ente che si pone la fatidica domanda (che cosa è l’essere) e che , contemporaneamente, è tenuto a darne risposta, e questo ente è l’esserci, ossia, in definitiva, l’uomo stesso.

Esser-ci nel senso di – CI – ossia essere appunto nel mondo. Ecco la pietra fondante dell’esistenzialismo e, dice Heidegger, l’uomo è nel mondo secondo una modalità temporale. Non possiamo qui addentrarci nelle disamine complesse elaborate dal filosofo sul rapporto fra l’esserci (il famoso Dasein tedesco) e il tempo. Limitiamoci a dire che l’esserci  (l’uomo) si  comprende, a partire dall’orizzonte del tempo  che si definisce in   tre modalità: il passato, il presente e il futuro. Il presente è l’unica modalità  dove, innanzitutto e per lo più(espressioni proprio di Heidegger), ci muoviamo . L’uomo è l’unico ente (animale) in cui il primato del presente viene scardinato e  si estende nel passato e nel futuro, dove incombe inevitabile la morte di cui l’uomo ha coscienza.  Ciò lo mette in  una situazione emotiva ( allocuzione di Heidegger) che è l’angoscia. Essa pone  l’esserci di fronte a se stesso, alla propria nullità perchè improvvisamente il mondo, cioè l’ente, non ha piu nulla da dire.  L’uomo capisce che la morte lo singolarizza radicalmente, cioè lo rende solo nel mondo. La sua costituzione fondamentalmente temporale irrompe ed egli acquista coscienza di ente che non si comprende più a partire dal presente (pres-ente, che è  presso), ma più radicalmente a partire dal tempo condizionato dal passato e proiettato nel futuro  e, sotto questa luce, l’esserci si comprende come un ente da cima a fondo temporale. Nell’uomo la coscienza dell‘essere è tempo.