Ma per la cultura il semaforo rimane rosso

L’Italia sta cambiando colore. Il rosso si schiarisce in arancione, l’arancione passa al giallo. La morsa si allenta a indicare che la diffusione del virus sta rallentando. Segnali, insomma, positivi che da un lato rassicurano, dall’altro preoccupano.

Perché noi italiani siamo un popolo strano. Come cala la stretta siamo capacissimi di dimenticarci il pericolo passato, le sofferenze e i lutti di tanti per riprendere la vita come se niente fosse. L’estate probabilmente non ha insegnato nulla.

E allora è bene ripetere e ripetersi di usare prudenza e non accettare un “liberi tutti” che potrebbe essere deleterio.

Fatta la doverosa premessa, si deve fare i conti, ancora una volta con l’assurdità di alcune decisioni.

Scesi alla gradazione gialla, riaprono da noi i bar e i ristoranti (sia pure con orari assai limitati) e questo ci fa oltremodo piacere per una categoria che è stata messa davvero a dura prova.

Ma, considerando la ressa che si vede in certi negozi, nei grandi magazzini per il black Friday, per le vendite natalizie, perché non estendere l’apertura ai teatri, ai cinema, alle biblioteche?

E’ più pericoloso stare seduti in una platea con mascherina a rigorosa distanza dagli altri o scontrarsi in un negozio affollato per scegliere un regalo?

E le biblioteche? E’ vero che un libro toccato da più mani può diventare un pericoloso veicolo. Ma è vero che si può adottare l’obbligo di mascherine e guanti e contingentare rigorosamente le entrate; ed è anche vero che la consultazione di microfilm comporta l’obbligo di sanificare solo i visori, un’operazione, crediamo, né complessa né lunga.

Di cultura si mangia tutti. Quelli che lavorano nel settore (e tanti in questo momento rischiano davvero) e tutti gli altri che ne usufruiscono.

Continuare a dimenticarsene non è un bel segnale.