Da “Unico Figlio” a “Serenin” viaggio nella raffinata ricerca musicale dei Cabit

Già Eliot scriveva che “la tradizione non si può ereditare, e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica”. Tra i lavori che più ho apprezzato negli ultimi anni di ricerca filologica ed approfondita, eppure dalla resa assolutamente autentica, originale, facilmente fruibile spicca “Unico Figlio” dei Cabit (formazione di Edmondo Romano e Davide Baglietto che in ogni lavoro ospita artisti differenti) . Un’opera che non a caso torna nelle classifiche di vendita proprio in questo periodo di festività celebrandole a partire dallo strumento più facilmente identificabile con la tradizione, cioè la cornamusa. L’altro album dei Cabit che affascina in continui rimandi di commistione culturale, ma anche di necessarie differenze, è “Serenin” dove si dispiegano le acrobazie sonore dei notissimi musicisti e una filosofia che porta indietro nel tempo alle colonie dei genovesi. Quelle che si affacciavano sul Mar Nero andando ben oltre il vecchio proverbio “Dove i zeneixi van, ȗn atra Zena fan” e raggiungendo una vera e propria linfa mediorientale destinata a regalare moltissimo, già in chiave musicale e letteraria. Non a caso anche l’etichetta che ha abbracciato questi progetti viaggia oltreconfine: “Crediamo sia importante comunicare che i nostri lavori discografici vengono distribuiti a livello internazionale – aggiunge Edmondo Romano- tramite la prestigiosa e storica etichetta Felmay (da decenni da voce alle musiche di tutto il pianeta), e che siamo davvero felici del meticoloso e approfondito lavoro di ricerca che facciamo sulle nostre tradizioni che divulghiamo nel mondo”.

Davide Baglietto, courtesy stampa
Davide Baglietto, foto di Emerson Fortunato in courtesy stampa

 

Ma partiamo dalle nostre tradizioni con Davide Baglietto: perché la cornamusa si associa tipicamente al Natale e quali sono gli esemplari più rari della sua raccolta ?

D. B. “La cornamusa si associa molto al periodo natalizio perché la sua origine è agropastorale, ossia sono stati i pastori, persone semplici a costruirla e a suonarla per primi. Le prime cornamuse erano fatte in maniera poco elaborata, ossia non erano costruite da liutai, e servivano principalmente per allietare le feste o i momenti celebrativi religiosi. Erano proprio i pastori, se pensiamo alle Sacre Scritture, le prime persone che andavano alla capanna per rendere omaggio a Gesù Bambino e tra questi vi erano anche dei musici, dei suonatori di zampogne. La zampogna è proprio un tipo di cornamusa, formato da più calami o “canne” del canto, che veniva e viene ancora adesso usata durante il periodo natalizio. 
Io possiedo diversi tipi di cornamuse per lo più sono cornamuse francesi originarie del Berry, Morvan (nomi antichi di dipartimenti del centro della Francia) costruite in diverse tonalità e tipologie di legno (bosso, ebano, pruno, corniolo, pau rosa, ciliegio, etc..). Ho iniziato con le francesi perché sono state le prime che ho conosciuto e dopo con il tempo vedendo il magnifico lavoro di ricostruzione, tramite l’iconografia, di alcune cornamuse ormai estinte ho incominciato a interessarmi al rifacimento della musa pastorale ligure. La ricostruzione di tale strumento è nata dall’idea di un amico suonatore di cornamusa Fabio Rinaudo e dalla stretta collaborazione con i due musicisti e liutai Walter Rizzo e Peter Rabanser. Proprio con questi ultimi, lavorando su una stampa denominata ‘I Pifferai’ di Bernardo Strozzi e grazie alla loro eccezionale abilità siamo riusciti a far rivivere questa cornamusa del Cinquecento che era suonata in diverse ville e in diversi avvenimenti importanti di Genova e dintorni.
Un’altra cornamusa rara che possiedo è la ceccola polifonica, strumento di origine umbro-toscana ricostruito (sempre dai liutai sopra citati) partendo da un quadro del Quattrocento di Giovanni Boccati ‘La Madonna dell’orchestra’ . Strumento molto interessante perché rispetto alla cornamusa ligure è in grado di fare gli accordi e quindi poter accompagnare, come se fosse un organo portatile, un cantante o un coro.
Infine l’ultima cornamusa che possiedo è il Tulum che viene dalle regioni turche di Rize e Artvin sul Mar Nero. Ho preso questo cornamusa quando nel 2018 sono andato a Istanbul a incontrare una delle più famose e giovani suonatrici di questo strumento: Filiz Ilkay Balta. Dopo questo incontro è nata la base per il nuovo disco turco-ligure di Cabit: Serenin”.

Edmondo Romano ritratto da Isabella Ievolella
Edmondo Romano ritratto da Isabella Ievolella, courtesy stampa

 

Edmondo Romano come definirebbe il lavoro di ricerca di “Unico Figlio”, che è andato a colmare anche diverse lacune in ambito discografico sulla magia del Natale?

E.R.” L’idea di un disco interamente dedicato alla tradizione natalizia ligure nasce dalla lunga esperienza dedicata proprio alle citate cornamuse, parte viva della musica popolare e dalla passione nata verso il repertorio natalizio durante le feste, dove per anni ci siamo ritrovati come Cabit ad eseguire le più disparate melodie appartenenti a questo repertorio, quelle che i famosi ‘zampognari’ e ‘pifferai’ una volta eseguivano per le strade delle città e dei paesi.  Il secondo passo è stato quello della ricerca e raccolta di canzoni e linee musicali quasi dimenticate, legate alla nostra regione. Nella ricerca abbiamo scovato anche tante filastrocche e poesie, sia religiose che laiche, abbracciando tutto il periodo delle festività di fine anno.
Data l’eterogeneità del materiale e l’interesse culturale abbiamo deciso di realizzare una cosa che sino ad oggi non era ancora stata fatta, ossia un disco monografico sul natale ligure, in modo da poter creare un documento tangibile sulla varietà del panorama tradizionale della nostra terra.
Le tradizioni presenti nel lavoro sono le più rappresentative della nostra storia, dai Campanari liguri al canto polifonico corso che con noi ha molti legami tradizionali  fino alla voce dell’organo che in passato eseguiva Pastorelle e Pive… e molto altro ancora. Tutti gli artisti coinvolti, alcuni tra i più rappresentativi della nostra regione, hanno con  passione completato il materiale mancante di questo affresco sonoro componendo melodie e testi, così come si effettua un restauro di un’antica tela, nel rispetto della tradizione e dei suoni”.

Davide Baglietto ci parla anche dell’ultimo lavoro dei Cabit che ci porta sino al Mar Nero? Quali sono le principali caratteristiche e come si è originato?

D.B. “L’ultimo disco dei Cabit invece é nato dall’incontro di due mari, ossia del Mar Ligure e del Mare Nero.
Questa collaborazione è nata dall’incontro avvenuto nel 2018 tra me e Filiz Ilkay Balta. Nel 2018 sono andato a Istanbul per comprare ed imparare i primi rudimenti del Tulum, l’unica cornamusa turca che viene suonata nelle regioni di Rize e Artvin. Una volta entrato in contatto con Filiz, maestra ed esperta del Tulum (tra le prime donne a farsi spazio nella musica tradizionale grazie a questo strumento solitamente appannaggio solo di musicisti uomini) ho appreso che ci sono diverse similitudine tra la cultura ligure e quella dei turchi che abitano nel Mar Nero. Entrambe le zone sono bagnate dal mare e riparate dai monti e sono abitate sia da pescatori sia da contadini e pastori. Ed è proprio grazie a questi ultimi che ci sono ed esistono degli strumenti di origine agro-pastorale come la cornamusa ed il piffero in tutto simili per fattura ma con sonorità e modalità di esecuzione completamente differenti. Nello specifico potremmo citare il Tulum e la musa pastorale ligure oppure la zurna e il piffero ligure. Partendo quindi da queste similitudini abbiamo iniziato il lavoro per ‘Serenin’ (il video è visionabile cliccando qui: https://youtu.be/IYtG22TFDgQ) . Un altro aspetto interessante, oltre a quello musicale, è quello coreutico che in Liguria è fortemente presente nella zona delle quattro province e nello zerasco (Lunigiana), mentre nel Mar Nero è ancora fortemente presente in tutte le regioni. Nonostante le danze delle due zone geografiche (Liguria con polche, alessandrine, gighe etcc. e la Turchia con l’horon) siano completamente diverse, vi è però un anello di giunzione. Tale anello è stato portato in luce da un grande musicologo turco Mahmut Ragip Gazimihal, il quale nei suoi studi aveva rilevato influenze genovesi e francesi nella danza horon. Questa informazione ci è stata fornita dal noto giornalista e critico musicale Guido Festinese durante la presentazione del CD ‘Serenin’ avvenuta a Genova il 9 ottobre 2020″.

In ultimo, in un auspicio di maggiore consapevolezza e riflessione per queste festività, Edmondo Romano può darci qualche spunto su quale ruolo giochi la tradizione nei momenti spirituali?

E.R. “L’uomo ha sempre dato voce e sviluppato in sinergia la parte spirituale e quella materiale, il cielo e la terra. Le testimonianze contemplano la Grecia antica, l’Egitto dei Faraoni, l’India antica, dove la musica è praticamente sempre presente nei riti come testimoniano dipinti, scritti, antiche pratiche orali come il canto armonico.
Tutte le antiche culture vivono il collegamento con gli Dei del cielo e gli spiriti della terra, ricerca interiore del proprio inconscio per comprendere il dualismo che ci abita per permetterci di affrontare con più consapevolezza le nostre paure, dove il singolo e il collettivo culturale si uniscono nel medesimo credo.
Anche oggi in epoca di crisi profonda dei valori, dell’economia, del sociale siamo sempre proiettati ad accendere il nostro lato spirituale, la nostra singola e personale ricerca interiore, perché la crescita si può sviluppare a livelli differenti in base agli aspetti culturali, sociali, storici, geografici di ogni singolo individuo o comunità ma tutti noi ricerchiamo l’aspetto profondo che ci distingue, spesso vivendolo come unica salvezza dal mondo esterno non sempre perfettamente calzante con il nostro essere.
L’impulso spirituale dell’uomo è naturale equilibrio con il luogo in cui vive, con il suo abitare il territorio che lo accoglie, ed è qui dove nasce il rapporto con la parte musicale dell’esecutore ma anche dell’artigiano che lo strumento lo costruisce e lo abbellisce, nel ‘ciclo’ del proprio territorio, scandito da riti di gruppo che la comunità stabilisce nei secoli e che accompagna con colori e suoni, con gli abiti e con la musica. Gli strumenti sono quindi a mio avviso un mezzo di bellezza, un messaggero per comunicare con il sacro, offrono la possibilità di rendere la materia più invisibile del mondo, la musica, mezzo per comunicare con i propri Dei ed il proprio intimo”.

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