Sciaccaluga: Ivo come un padre

Per ricordare la figura di Ivo Chiesa, a pochi giorni dalle celebrazioni per il centenario della sua nascita, pubblichiamo una intervista a Marco Sciaccaluga tratta dal libro, a firma dello scrivente, “Marco Sciaccaluga e il Teatro – Vita di un minatore ostinato” (De Ferrari editore)

 “Vorrei sottolineare un fatto. Io entrai allo Stabile con Chiesa e Squarzina accompagnato da una nomea di contestatore. Mi ricordo dibattiti accesi sul teatro del tempo in cui noi giovani un po’ rivoluzionari, un po’ sperimentalisti non risparmiavamo critiche alla gestione dello Stabile, ci sembrava poco coraggioso. Io ad esempio contestavo loro di non aver mai messo in repertorio Beckett, Pinter, Genet, cioè i più grandi autori che scrivevano in quel momento. Oggi sono dei “classici”, ma all’epoca rappresentavano la contemporaneità. Altri, invece, muovevano le loro contestazioni soprattutto con riguardo alla ideologia.

Tutto questo per dire che io non li ho amati subito, ho dovuto lavorare un po’ per capire la loro grandezza e cambiare le mie opinioni.

Con Chiesa è stato il rapporto più importante perché è iniziato nel 1972 con la mia scrittura ed è andato avanti fino alla sua morte. Perché quando nel 2000 ha lasciato il teatro, e siamo stati nominati Carlo Repetti ed io, ha continuato comunque a venire alle prove e a mantenere i contatti con tutti noi.

Chiesa era un genio nel suo lavoro. Nonostante la sua apparenza di anglosassone freddo, era un appassionato, spesso mosso da fuochi che cercava di reprimere. Con lui è stato un rapporto da servo a padrone, da figlio a padre. Io non me ne rendevo allora conto ma lui ha fatto su di me un investimento incredibile. A 21 anni mi ha dato la prima regia e poi mi ha affidato uno spettacolo all’anno e dagli anni Ottanta in avanti, due!  Non c’è stato un anno saltato. Ci sono stati momenti di crisi, anche di scontri forti. In qualche caso Repetti ed io ci siamo trovati a contestare il suo modo di gestire il teatro, ma viva il cielo, era un teatro vivo, un teatro dove i giovani dicevano la loro. Ricordo giorni passati nel suo ufficio a discutere la programmazione della nuova stagione. Era puntigliosissimo, non delegava mai completamente. Ti dava una grande libertà, ma ti diceva sempre tutto quello che dovevi fare! Quando mi mandava a parlare con i registi stranieri mi impartiva ordini precisi! Quando mi affidò Equus mi inviò a New York a vedere l’edizione che si stava rappresentando lì. Mi raccomandò di assistere a tutte le recite della settimana. Io vidi la prima sera in cui recitava Anthony Hopkins e poi tornai a fine settimana perché subentrava Anthony Perkins… Nelle altre sere mi sono divertito a vedere tutti i musical possibili. Chiesa non lo ha mai saputo. Ma credo di aver fatto bene….

Chiesa con Sciaccaluga e Repetti al momento del passaggio di consegne

Chiesa, evidentemente credeva nei giovani, sapeva guardare avanti…

Certamente. Mi portava a Londra o a Parigi a vedere spettacoli, a conoscere persone, a creare contatti. C’erano i mezzi per farlo: oggi non sarebbe possibile. Ma se non si fa così i rapporti non si creano e viene a mancare gravemente una forte identità culturale.

Oggi questo Outlet che è diventato il teatro europeo sembra uno di quei ristoranti in cui trovi tutto. I ristoranti buoni sono quelli che hanno un menù limitato.

Riconosciute le grandi qualità di Chiesa, bisogna anche  segnalarne un unico grande difetto. Era troppo poco sicuro del suo parere sulle cose e aveva un sacro rispetto dei critici. Se noi facevamo uno spettacolo e i critici ne parlavano male quello spettacolo diventava automaticamente brutto.

Posso citare due casi. Il primo riguarda la messa in scena nel 1988 di Arden di Faversham.

Venne naturalmente a seguire la prova generale e alla fine mi disse: “E’ un capolavoro, Marco, hai fatto un lavoro splendido”. Naturalmente ne rimasi contento, ma poi uscirono le critiche, tutte severe, e lui cambiò completamente parere.

Un’altra volta con Rosmersholm capitò l’esatto contrario. Alla fine della generale Chiesa si mostrò piuttosto severo, paragonò la mia regia a uno sceneggiato televisivo, insomma non gli piacque. Ci rimasi male ma poi uscirono recensioni incredibilmente belle a partire da quella di De Monticelli, un autentico inno. Le stesse ragioni per cui Chiesa mi aveva stroncato per i critici costituivano il motivo per osannarmi. Ne chiesi ragione a Chiesa e mi rispose: “Mi sono sbagliato”.