Alberto Cantù, la scomparsa di un amico

E’ mancato Alberto Cantù nella sua casa di Milano. Io conoscevo Alberto da oltre trent’anni, ma la nostra era una conoscenza superficiale, soltanto nel 2011 quando abbiamo iniziato la “Storia della Sinfonia” il nostro rapporto si è ravvivato in quanto l’ho chiamato a condividere con altri relatori l’onere di far conoscere più in profondità, al grosso pubblico questo meraviglioso genere musicale. Alberto ha accettato immediatamente e ci ha deliziato con conferenze su Haydn, Berlioz, Dvorak. Buon parlatore e intrattenitore ha saputo affascinare il pubblico con la sua chiarezza e grande cultura che sapeva affrontare tutti i più nascosti risvolti della vita e della musica dei musicisti oggetto delle sue relazioni. Ha poi collaborato con noi anche per le Conferenze illustrative delle opere in programma al Carlo Felice dedicandosi al suo amatissimo Puccini. Il nostro rapporto si era così consolidato, ma si è interrotto qualche tempo fa a causa della malattia che ce lo ha portato via. Rimpiangeremo sempre lo studioso e lo scrittore, ma soprattutto, adesso piangiamo la scomparsa di un amico

Giuseppe Isoleri

Alberto Cantù (a sinistra) in un incontro conviviale di alcuni anni fa con il personale del Teatro Carlo Felice

 

Con la scomparsa di Alberto Cantù, la cultura musicale ha perso un protagonista autorevole di questi ultimi decenni. Genovese, 70 anni, Cantù si era laureato all’Università della sua città con una tesi su Arturo Toscanini sotto la guida di Leopoldo Gamberini. E poi aveva intrapreso l’attività di critico musicale, prima a Genova come collaboratore della redazione cittadina del “Giornale” e poi a Milano fra le firme nazionali dello stesso foglio.

Contemporaneamente aveva avviato una  importante attività musicologica, pubblicando nel 1980 per la Eda il suo primo studio su Paganini, I 24 Capricci e i 6 Concerti: un libro di rilievo perché si poneva in un’ottica nuova rispetto al grande artista genovese, affrontato finalmente sotto il profilo compositivo, al di fuori di ogni schema romanzesco. Questo atteggiamento critico, Cantù lo avrebbe ribadito nei numerosi studi paganiniani successivi, dai libri per la Sagep (Le opere di Paganini, con Danilo Prefumo, 1982) e per Mursia (Invito all’ascolto di Paganini 1988) ai numerosi saggi pubblicati in varie riviste specializzate. L’amore per il violino trova poi conferma in una serie di pubblicazioni rivolte alla conoscenza di grandi interpreti del nostro tempo: citiamo De Barbieri (con il quale collaborò alla revisione critica dei Capricci), Heifetz, Menhuin, Oistrach. Aveva fatto anche parte, Cantù, dell’Istituto di Studi Paganiniani e lo avremmo voluto nel Centro Paganini da poco rifondato se la terribile malattia glielo avesse permesso.

Paganini e il violino non hanno tuttavia esaurito gli interessi musicologici di Alberto Cantù che ha amato anche la drammaturgia musicale e in particolare il teatro di Puccini. Componente dell’Istituto di Studi Pucciniani, fra le sue ultime fatiche editoriali si segnala il bel volume edito da Zecchini L’universo di Puccini da Le Villi a Turandot.

Mi si conceda una riflessione personale. Ho avuto il piacere di conoscere e frequentare Alberto sin dalla fine degli anni Settanta perché le nostre carriere sono iniziate quasi contemporaneamente: nello stesso periodo abbiamo cominciato a scrivere per i giornali e nello stesso anno siamo diventati docenti di storia della musica in Conservatorio. Per qualche tempo abbiamo anche insegnato  nel medesimo Istituto, il Paganini. E lo ricordo esaminatore equilibrato, sempre cortese, sia pure nel suo rigore. E quanto al critico, aveva una penna brillante e fluida e uno stile spesso pungente e ironico. Cantù era uno studioso onesto che odiava ogni tipo di pressione ed esercitava la propria professione con estrema libertà intellettuale.

Apparteneva a un mondo della critica musicale genovese (sia pure negli ultimi anni trapiantato a Milano e con una visibilità nazionale indubbia) che oggi, con la sola eccezione dello scrivente, non esiste più: penso a Edilio Frassoni, a  Tullio Cicciarelli, a Carlo Marcello Rietmann,  a Mauro Manciotti, a Alma Brughera Capaldo, a Guido Tartoni a Claudio Tempo. Un’epoca nella quale la critica aveva uno spazio consistente sui giornali cittadini e un pubblico folto di lettori: un mondo, ancora, decisamente più “vivo” culturalmente, pur nelle sue criticità economiche e strutturali, di quello in cui viviamo oggi.

“I morti amici stipati che sospingono alle spalle”, scriveva Gianandrea Gavazzeni oltre quarant’anni fa ricordando i tanti amici scomparsi. Ci mancherà, Alberto, per i suoi scritti e per il suo esempio etico.

Roberto Iovino