Donizetti, largo ai giovani

Il debutto dell’Elisir d’amore di ieri sera al Carlo Felice era particolarmente atteso per diverse ragioni.

Innanzitutto perché si trattava di riaprire il nostro teatro all’opera dopo alcuni concerti: era dal Trespolo tutore di Stradella dell’ottobre scorso che la lirica mancava e se ne sentiva davvero la necessità, un confortante ritorno alla normalità.

Poi la scelta di un’opera di rara bellezza. Nella partitura di Donizetti costruita magistralmente sul divertente libretto di Felice Romani non c’è una nota da buttare via, si tratta di uno dei gioielli più luminosi del teatro comico in assoluto.

In terzo luogo, la formazione di un cast giovane in via di formazione nell’Accademia voluta dal sovrintendente Claudio Orazi con il tenore Francesco Meli in veste di direttore: una compagine di giovani di belle speranze che in questi mesi hanno dato l’anima per arrivare pronti all’appuntamento. Una iniziativa importante per il Teatro che mostra di voler puntare su giovani in un’ottica di effettivo investimento sul futuro (e non come accade spesso in questi casi per mero calcolo “economico” per abbattere i costi di produzione); ma anche per i giovani in quanto avere la possibilità di debuttare al Carlo Felice in epoca di pandemia costituisce un’occasione da non perdere.

E, infine, la scenografia di Luzzati con i costumi di Santuzza Calì: un abbinamento magico che abbiamo ammirato più volte ma che continua ad affascinare per quel gusto fiabesco che il grande artista di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, ha sempre saputo trasmettere nelle sue riletture teatrali.

Grande attesa, dunque, sala ricolma di tutto il pubblico che le norme anticovid consentivano. E successo caloroso, sincero e meritato.

Nico Franchini (Nemorino) e Francesco Auriemma (Dulcamara)

Operazione, va detto, non facile.

L’elisir d’amore è un capolavoro che va trattato con cura e delicatezza, ha pagine straordinarie che richiedono eleganza e mestiere, non solo perché alcune arie sono particolarmente famose e fanno parte del grande repertorio di stelle della lirica (pensiamo a “Una furtiva lacrima” interpretata l’ultima volta qui al Carlo Felice proprio da Francesco Meli), ma anche perché i concertati, con quel piglio quasi rossiniano  presentano insidie non da poco.

Ebbene il risultato è stato sicuramente positivo. Certo per il quintetto dei protagonisti la strada verso la piena maturità è ancora da raggiungere, non bisogna abbassare la guardia e credersi “arrivati”. Ma le premesse sono ottime, il potenziale sotto tutti gli aspetti c’è, le scelte fatte da Meli e dai suoi collaboratori sono risultate vincenti.

Nino Franchini, ad esempio, nella parte di Nemorino ha evidenziato una bella voce, scorrevole, omogenea in tutta la tessitura, dove conquistare ancora un po’ di morbidezza soprattutto per un personaggio delicato come è Nemorino.

Claudia Muschio (Adina)

 

Bel strutturata la Adina di Claudia Muschio lodevole tanto per la voce quanto per la duttilità espressiva. Brillante e tecnicamente solido il Belcore di Alberto Bonifazio, Francesco Auriemma si è dimostrato un Dulcamara divertente e ben centrato soprattutto negli interventi solistici, garbata e piacevole Giulia Filippi nei panni di Giannetta.

Alberto Bonifazio (Belcore)

 

Il regista Davide Garattini Raimondi aveva da risolvere il problema legato all’obbligo di distanziamento in scena, regole ferree che hanno obbligato ad esempio il coro a cantare con le mascherine (agli artisti tutta la nostra solidarietà per la fatica!) e anche i figuranti a indossare maschere sceniche che hanno svolto la duplice funzione di servire allo spettacolo e garantire la citata sicurezza. Garattini Raimondi ha cercato dunque di sfruttare al meglio gli spazi, non snaturare l’azione e i rapporti “interpersonali” fra i personaggi e ha puntato sulla freschezza degli interpreti per costruire una azione divertente, scorrevole, forse persino con qualche gag di troppo. Ben conosciuta, come già detto, la colorita scenografia di Luzzati che ha assicurato allegria all’allestimento.

Giulia Filippi (Giannetta)

 

Detto di tutti gli aspetti positivi, non ci ha del tutto entusiasmato la lettura del direttore Alessandro Cadario, non sempre sufficientemente duttile e attenta a restituire quell’eleganza che abbiamo sottolineato essere caratteristica centrale della partitura donizettiana. Qualche incidente di percorso nel rapporto fra buca e palcoscenico, poi è stato almeno in parte causato dal posizionamento degli artisti sul palcoscenico (per le citate esigenze di sicurezza, si pensi ad esempio al coro relegato nel fondo in apertura di secondo atto, con un grande tavolone riccamente imbandito in primo piano) non ottimale per una buona visione della bacchetta.

Applausi calorosissimi, repliche fino a mercoledì.