Alla Scala Madina racconta l’orrore di qualunque guerra attraverso la gestualità di Bigonzetti

Era stato programmato per marzo 2020, ma per i motivi che conosciamo tutti è debuttato al Teatro alla Scala il primo ottobre di quest’anno, le cui repliche sono fino al 14.  Madina è senza dubbio uno degli spettacoli più attesi per questa stagione di ripresa e che finalmente ha rivisto il teatro attivo e pieno di pubblico per quanto possibile dalle normative covid.

Uno spettacolo che racchiude un complesso lavoro articolato su danza, musica, canto, recitazione e arte visiva. Costruito sul libretto della scrittrice francese Emmanuelle de Villepin, tratto dal proprio romanzo del 2008 La ragazza che non voleva morire, la rappresentazione, in un primo momento era stata pensata come opera lirica, ma poi è stata rimodulata nella forma di balletto melologo.

Quello che porta in scena è noto a tutti in quanto la pubblicità che è stata fatta intorno a questa prima mondiale ha fornito tutte le indicazioni a riguardo. Sono le tematiche di scottante attualità che riguardano integralismo religioso, terrorismo, atrocità della guerra, violenza sulle donne e il loro sfruttamento. Madina è una giovane cecena, vittima di uno stupro da parte di soldati russi ubriachi il cui zio Kamzan  per lavare l’onta, costringe brutalmente a compiere un attentato terroristico suicida. Ma nella ragazza prevale la vita e non la morte.

Tutto ciò viene evocato dai testi recitati o cantati, mentre a sostenere la struttura drammaturgica è la coreografia di Mauro Bigonzetti, che vede un continuo alternarsi di gruppi che ora ballano in sincro, ora si dividono in pochi elementi, ora privilegiano i passi a due o a tre. Bigonzetti  cerca giustamente la tensione e fa il possibile per adattare la difficile musica di Vacchi (certamente poco adatta alla danza) per fornire al pubblico il giusto pathos  che richiede il dramma. La protagonista Antonella Albano , grande ballerina e qui soprattutto grande attrice, risponde bene ad un ruolo che sente suo, immergendosi totalmente in un personaggio che giorno per giorno ama di più, la vittima Madina.

Un peccato che oltre alle ripetute scene di trascinamento da parte dei suoi carnefici  non ci sia un po’ più di danza, perchè in certi momenti viene solo da pensare come la danzatrice riesca a uscire incolume dalla brutalità alla quale viene sottoposta dai danzatori maschi.

Le parti corali degli Interludi orchestrali, fanno emergere la fisicità dei danzatori, con icastici rimandi visivi all’Inferno dantesco. Ottimo il corpo di ballo scaligero che dimostra un’ottima propensione ad un lavoro diverso dal solito (qui certo non siamo nel Lago dei Cigni!) in cui emerge il vitale e virile Louis di Gioacchino Starace. Lo straziante finale, con Madina al proscenio che, malgrado tutto, piange sul corpo martoriato dello zio Kamzan( Roberto Bolle nelle recite dell’1, 6, 12, e 14; e Gabriele Corrato nella replica del 6), torturato e ucciso, richiama la riattualizzazione di un Vesperbild laico e profano, dove vittima e carnefice sono nuovamente uniti in un legame che riporta alla sindrome di Stoccolma.

Interessante la scena essenziale di Carlo Celli con colonne d’acciaio e ferro e un led wall che spesso funge da filtro e da parete trasparente. Sul fondale  la scelta di proiettare immagini di desolazione che, in questo caso non è affatto invasiva. Si tratta di bombardamenti, incendi che avvengono in un altrove universale, che senza dubbio fa riflettere sull’inutilità della bruttura della guerra.

La partitura di Fabio Vacchi, uno dei compositori italiani viventi più noti ed eseguiti a livello mondiale, dà vita a una musica di forza espressiva, evocativa e poco narrativa, in cui si senteno fondere matrici popolari etniche extraeuropee (di sapore mediorientale) alla  musica colta occidentale.  Ripeto,  molto poco adatta alla danza, ma che Michele Gamba, che ha all’attivo la direzione di brani, fra gli altri, di Luciano Berio, Thomas Adès e Luca Francesconi, con gestualità scattante e incisiva, ha saputo leggere al meglio.