Incontri con Beethoven: l’uomo oltre al genio

Quando, all’inizio del secolo scorso, uscì un particolare libro dedicato a Ludwig van Beethoven, i lettori e gli appassionati improvvisamente si trovarono tra le mani qualcosa di vivo: il monumento scendeva dal piedistallo e il compositore sembrava essere lì, insieme a loro.

La magia, l’umanizzazione del genio si ripete ancora oggi in questa e in molteplici pubblicazioni beethoveniane, fiorite, ovviamente, nel  2020 per i   250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven.  Anno straordinario che è stato celebrato in lungo e in largo a Bonn con un migliaio di concerti, conferenze ed eventi tra cui anche mostre, sino a Vienna dove è sepolto, passando per la Carnegie Hall di New York e per gli scaffali delle librerie di tutto il mondo.

Ma come si fa a sentirne la voce, il temperamento, vederlo assorto tra lezioni, ambasce, appuntamenti galanti e le incombenze quotidiane? Azzeriamo la suspense durata fin troppo: basta calarsi nelle pagine di “Incontri con Beethoven”, che potrebbe essere tranquillamente sottotitolato l’umanizzazione del genio, a cura di Felix Braun su edizione italiana di Veniero Rizzardi e Benedetta Zucconi per ilSaggiatore.  

Tante le testimonianze, anche se il libro è piuttosto snello, dall’infanzia alla vera contestualizzazione della Quinta e della Sesta sinfonia , con il riferimento al canto dello zigolo giallo della celebre “Scena del ruscello” sino alla malattia e alla pace ritrovata nella conoscenza dei Lieder di Schubert che non conosceva, sebbene nel febbraio del 1827 ne fossero già stati composti oltre cinquecento oppure ancora alle confidenze di Hummel al capezzale di Beethoven.

Interessantissimi i dialoghi con Haydn, Weber, Rossini e Goethe,  ma anche i passi su quella frammentazione dell’io, su quella sofferenza, che lo hanno portato alla completa maturazione interiore, sino alle righe più civettuole tra la nobiltà dell’epoca, perfettamente a suo agio anche con  granduchi e principesse. Come si legge nel volume “parlava volentieri della vanità presuntuosa e del cattivo gusto dell’aristocrazia viennese, che non godeva affatto della sua simpatia, perché gli pareva che l’avesse messo da parte e non lo comprendesse abbastanza”. Tra le chicche si ritrovano anche i ritratti  (e l’insofferenza alle sedute di posa) di Waldmuller o il celebre  schizzo di Kloeber, che si mostra ancor oggi in così tante pubblicazioni.