Elegante e coinvolgente La bayadere di Nureyev alla Scala

Ha debuttato al Teatro alla Scala il 21 dicembre scorso La bayadère con regia e coreografia di Rudolf Nureyev,nata per l’Opéra di Parigi nel 1992 e la cui ripresa è a cura di Florence Clerc e Manuel Legris.  Un allestimento caro a tutti se si ricorda il grande Rudy tra le quinte intento a montare quel magico titolo popolato di bramini, idoli d’oro, donne fatali, fumi d’oppio, insomma da tutto quell’esotismo da lui tanto amato. Ma Rudy stava male, molto male, infatti morirà tre mesi dopo, e per questo fu costretto a chiedere aiuto al suo collega del Kirov, Ninel Kurgapkina, custode della tradizione Petipa. Questo ci fa pensare che forse non tutta la Bayadère francese sia farina del suo sacco.

Ciò non toglie che questo ballo tardo-romantico, che debuttò a San Pietroburgo nel 1877, entrato al Piermarini nel 1965 assieme al Royal Ballet con la coppia Fonteyn-Nureyev, è un’opera grandiosa e di grande bellezza. Del resto tutte le moderne Bayadère scaligere, fino al 2008, sono praticamente improntate sulla coreografia di Nureyev, fatta eccezione di quella del 2018 proveniente dal Bolshoj.

Trasformazioni e mutamenti ce ne sono sempre inevitabilmente stati nei vari allestimenti, vuoi per gli spazi dettati dalle scenografie, vuoi per il carattere dei vari  interpreti. Quello in questione, registrato dalla RAI  e trasmesso ieri, 31 dicembre 2021, su Rai5 e RaiPlay, è stato affidato per la prima volta a Luisa Spinatelli. Si tratta di un allestimento indubbiamente raffinato e improntato su quello parigino. Qui troviamo il tempio indiano racchiuso da un groviglio di grandi radici (riprodotte su uno schermo a fondale), la reggia aperta di stile coloniale, e soprattutto qui vengono abbandonati i ridondanti bassorilievi prospettici delle edizioni russe. Nessun baldacchino portarà in scena l’idolo d’oro e il principe Solor arriva su di un enorme elefante con ruote.  Va tutto bene, ma una rampa in più nella discesa delle Ombre non ci sarebbe stata male. Un peccato non  aver dato il giusto rilievo alla splendida e surreale serpentina formata dalle ballerine del corpo di ballo che vengono giù (come dal cielo) di profilo, una dopo l’altra, in arabesque penché, in quello che è il pezzo forte del III Atto.

Nicoletta Manni e Timofej Andriaschenko

 

Un immaginario quello delle baiadere in cui si sono crogiolati poeti, scrittori, pittori e coreografi dell’Ottocento, attratti dal fascino esotico e dal mistero di queste creature inaccessibili e perciò desiderabili, predestinate e forse infelici. Ed è in quest’atmosfera che il pubblico si vuole immergere, che si sieda sulla poltrona del teatro o su quella di casa sua (condizione in cui ahimè ci ha portati il covid) e ieri il balletto scaligero ci ha veramente ragalato questa magica sensazione, grazie soprattutto ai due protagonisti.  La Nikiya di Nicoletta Manni è stata molto intensa soprattutto nel secondo atto che termina con il lungo e tragico assolo. La parte iniziale di questa variazione viene eseguita su un disteso tema orchestrale che esprime profonda melanconia e la Manni ha espresso con grande capacità attoriale il sentimento di donna sconsolata e tradita. Splendido il suo movimento di braccia, bellissima la fluidità della sua schiena, abile la sua tecnica di danzatrice oramai matura. Anche il Solor di Timofej Andrijashenko è stato convincente nella sua intensità espressiva. Come affermato in altre situazioni il fatto che i due primi ballerini siano una coppia anche nella vita, aiuta molto la loro resa sul palco.  Il pas de deux dell’atto bianco, là dove la geometria si fa poesia e la perfezione del passo e del gesto sono “in sé significanti” (come direbbero i semiologi), è l’unico di cui si è accusata qualche incertezza, ma questo non ha adombrato la resa generale dell’ operato dei due amatissimi primi ballerini scaligeri. Maria Celeste Losa, invece ci è sembrata poco adatta nel ruolo di Gamzatti, non per questioni legate alla sua tecnica di ballerina, quanto a quello che si intende per physique du rôle: è una ballerina troppo alta per il balletto classico ottocentesco. Bravo Federico Fresi nella variazione dell’Idolo d’oro, e brave Agnese Di ClementeCamilla CerulliGaia Andreanò nelle ombre soliste.

La musica di Ludwig Minkus è stata diretta con entusiasmo dall’americano Kevin Rhodes , oramai un habitué dalla danza e del Teatro alla Scala.