Pergolesi e Bernstein, dittico vincente

Lo spettacolo proposto ieri sera al Carlo Felice e formato da due atti unici quali la Serva padrona di Pergolesi e Trouble in Tahiti di Bernstein, accolto da un caloroso e meritato successo, offre il pretesto per alcune considerazioni.

Il pubblico

Innanzitutto il pubblico. La platea ha registrato una confortante presenza di pubblico il che non era assolutamente scontato, sia per la “stranezza” della proposta (l’intermezzo di Pergolesi, uno dei capolavori del Settecento comico, mancava a Genova dal 1958, l’opera di Bernstein, non particolarmente conosciuta, non era mai stata rappresentata sui nostri palcoscenici), sia per la “paura” per la pandemia che induce ancora alla prudenza molti potenziali spettatori.

Inoltre si è notata una folta rappresentanza di giovani aderenti alla iniziativa “Studenti all’Opera”, che il Teatro Carlo Felice di Genova promuove con il supporto di Iren, con l’obiettivo di garantire agli studenti di ogni ordine e grado la possibilità di accedere agli spettacoli in cartellone, abbonandosi gratuitamente per una intera stagione lirica o concertistica. Un bel progetto fondamentale per garantire un graduale ricambio di pubblico in una città la cui media anagrafica è fra le più alte in Italia.

La regia

Luca Micheletti, regista, cantante, attore già apprezzato per la sua rilettura della Vedova allegra ha confermato con questo spettacolo che si può essere originali senza stravolgere il senso di una partitura, che si può essere innovativi mantenendo una eleganza e una sobrietà lodevoli per tutto l’arco di una rappresentazione.

Si deve a Micheletti l’idea di accoppiare i due titoli che pur nella loro evidente differenza stilistica offrono alcune analogie interessanti.

La Serva padrona come è noto è un intermezzo, ovvero un esempio di spettacolo comico di primo settecento pensato come “intervallo” di un’opera seria (e in origine ne era una “costola”) con due soli personaggi, uomo e donna, naturalmente impegnati in schermaglie amorose. Bernstein nel concepire il suo lavoro si è certamente ispirato all’intermezzo italiano nel configurare l’architettura generale.

Le analogie non si fermano qui, però, per Micheletti che ha “immaginato” che la coppia messa in scena dal compositore americano (Sam e Dinah) sia quella di Pergolesi  proiettata nel tempo e nello spazio. E quindi dal mugugno di Uberto che litiga con Serpina e poi se la sposa, si passa alle liti continue di Sam e Dinah che ci appaiono come una delle tante coppie del nostro tempo chiuse in una prigione di incomunicabilità. L’idea di Micheletti si è tradotta in una omogeneità di lettura, di gesti teatrali, di atmosfere; al punto che Uberto e Serpina si cambiano in scena e assumono l’identità di Sam e Dinah prima ancora che cali il sipario sulla prima parte.

L’eleganza di cui si diceva dipende anche dalle scelte scenografiche. Ambientare due atti unici con tre personaggi nel primo caso, cinque nel secondo in uno spazio immenso come il palcoscenico del Carlo Felice non è facile. Leila Fteita ha ridotto lo spazio creando strutture mobili, rotanti e modulabili che hanno creato gli ambienti della casa di Uberto nella prima parte e i vari luoghi dell’azione di Bernstein nella seconda. Strutture agili  e giocose che hanno creato una atmosfera fiabesca.

La lettura musicale

La parte musicale era affidata a Alessandro Cadario, sul podio dell’Orchestra del Carlo Felice.

Cadario ha mostrato autorevolezza e buone scelte interpretative. Ci ha convinto maggiormente in Bernstein dove ha saputo cogliere con intelligenza le diverse anime della partitura, dagli interventi jazzistici del trio, ai lunghi monologhi dei due protagonisti che richiedevano un sostegno misurato e partecipe della sezione strumentale.

Meno convincente la lettura di Pergolesi. La partitura settecentesca, nella sua sinteticità, offre alcune arie deliziose (pensiamo allo sfogo di Uberto “Sempre in affanni con te si sta” che è un mirabile esempio di “aria dinamica” così rara in un’epoca in cui le arie erano statiche espressioni di sentimenti)  che tuttavia nella loro struttura strofica sono alquanto prolisse. Forse una maggiore duttilità interpretativa avrebbe giovato. Tuttavia anche Pergolesi è apparso godibile e divertente.

Sul palcoscenico Micheletti ha sostenuto le due parti maschili con indubbia autorevolezza scenica e vocale.

Al suo fianco la moglie Elisa Balbo, artista intelligente, ricca di verve, con una voce non molto potente ma amministrata con sapienza: convincente la sua Serpina, assai lodevole la Dinah in cui ha potuto offrire una maggiore gamma di soluzioni espressive.

In Pergolesi da lodare anche il mimo Giorgio Bongiovanni, mentre in Bernstein hanno offerto una divertente prova, nei panni del trio jazz, Melania Maggiore, Manuel Pierattelli e Andrea Porta.