Al Nazionale il “Livore” di Mozart e Salieri mette a nudo la tenerezza

Non c’è soltanto il “Livore” del titolo, al centro della pièce della compagnia spezzina Gli Scarti, assieme al gruppo VicoQuarto Mazzini, che ha debuttato martedì sera al Teatro Nazionale di Genova, Sala Mercato, e che resterà in scena fino a giovedì 14 aprile.

Fra i tre personaggi, due attori e un agente teatrale, interpretati da Francesco d’Amore – anche autore della drammaturgia – Michele Altamura e Gabriele Paolocà – che firmano pure la regia – si dipana una fitta rete di sentimenti e non tutti necessariamente negativi. E l’invidia, cui allude il sottotitolo dell’opera, ovvero “Mozart e Salieri”, è solo il motore primo immobile di un dolore che regna assoluto, che fa della fragilità una colpa e del potere una implicita autorizzazione a esercitare il dominio sugli altri.

 

La scena su cui i tre personaggi si muovono è più che essenziale, quasi scarna. Un telo bianco, un tavolino basso di legno candido, un coltello da cucina, una pedana di legno grezzo su cui giace abbandonato un microfono, un quadrato di luci. A tratti uno scroscio d’acqua punteggia di gocce appena visibili lo sfondo nero del palco, creando una corrente di movimento.

Sono le note dell’Introitus del Requiem KV626 di Wolfgang Amadeus Mozart, nella parte del basso, a introdurre il pubblico nella storia, giocata tutta su un parallelismo fra due trame di invidia: la presunta rivalità tra il genio salisburghese e l’illustre collega Antonio Salieri, assurta al pubblico dominio grazie al film di Miloš Forman, e quella fra due giovani attori, battezzati, non a caso, con il nome dei due compositori.

Il primo è Antonio, bene interpretato da Francesco d’Amore: fragile e insicuro, ha l’agenda piena di impegni e, oltre a recitare il ruolo del protagonista in una fiction («si chiamano “serie televisive”», ammonisce), dedicata appunto a Mozart e Salieri, aspira a una parte prestigiosa in un film francese. Il secondo è Amedeo, ovvero il bravo Michele Altamura: talentuoso e brillante, offre il suo teatro sperimentale in un circolo prossimo alla chiusura e, nella stessa serie televisiva di cui Antonio è protagonista, ha ottenuto il ruolo dell’eterno secondo, ovvero Salieri.

Nell’incrocio di destini gioca un ruolo fondamentale Rosario, il cui ruolo è affidato a un convincente Gabriele Paolocà. Un tempo attore, ha abbandonato le scene dopo una brutta avventura ed è ora il compagno di Amedeo, nonché suo agente. La cura che mette nel tessere trame che favoriscano il suo protégé non è mai limpida: nella realizzazione di Antonio vuol veder trionfare sé stesso, laddove ha fallito. Fomenta una rivalità con Amedeo per poter meglio controllare il compagno, al quale non fa sconti nel riproporre, con lucida perizia, nei momenti opportuni, le proprie manchevolezze.

Una foto di scena (Rocco Malfanti)

 

Rosario vorrebbe impiegare la stessa cura nella preparazione di una cena, alla quale è invitato un importante impresario, «la cena più importante della carriera». «Ho telefonato a persone che odio», rinfaccia al compagno, quando egli confessa che vorrebbe tirarsi indietro, spinto da una folgorante, quanto misteriosa, consapevolezza. Ma i progetti di Rosario saranno definitivamente sconvolti dall’arrivo di Amedeo, che porterà con sé la rivelazione di un mondo di sotterfugi e manipolazioni. Quello che verrà detto trasformerà in un carnage sanguinolento perfino le profumate barbabietole destinate, nell’idea di Rosario, a proporre a palati raffinati il gusto incantato dell’Umami e invece ridotte a informe poltiglia.

Ad accompagnare il crescendo del testo, vero punto di forza dell’opera, le note del Requiem KV626 di Mozart. Al basso dell’inizio, si aggiungono tenore e contralto. L’ultima, quella del soprano, è stonata, distorta, accennata da un Antonio messo a nudo nella propria tenerezza di uomo incapace di pensare di meritare qualcosa – amore, affetto, successo. Proprio a causa di questa sua umanità, Antonio è la vittima ideale di chiunque, agnello sacrificale di tutti i falliti che cercano una rivincita nella debolezza degli altri. Resterà tale, finché non troverà in sé il coraggio di iniziare a vivere.
Alla fine applausi convinti da parte del pubblico in sala.